Deutsche Bank intossicata, guai in vista

Deutsche Bank intossicata, guai in vista

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BERLINO. In piena estate, con lo sguardo dei partner europei appeso al nuovo corso della Commissione Ue e la politica locale chiusa ancora per ferie. Quando a Francoforte si parla solo delle maxi-ricadute in Borsa della guerra dei dazi fra Trump e la Cina, e a Berlino l’attenzione è catturata dalla recessione da ieri conclamata: nel secondo trimestre 2019 il Pil della Repubblica federale è crollato da più 0,4% a meno 0,1%.

Il momento giusto per avviare l’operazione destinata a segnare il futuro della Germania più delle politiche economiche di qualunque governo presente e futuro. Un’iniziativa al riparo dei grandi riflettori, che pure ha molto più a che fare con il prodotto interno lordo.

Deutsche Bank, che detiene in pancia quasi 50 mila miliardi di euro in derivati finanziari (pari oltre 24 volte il Pil tedesco e al 12% del valore mondiale), spenderà uno dei 7,4 miliardi di euro del cosiddetto piano di ristrutturazione per scaricare i crediti a rischio nella sua nuova Bad bank. Entro i prossimi tre anni l’esposizione della banca dovrebbe ridursi a soli 9 miliardi, almeno secondo la Reuters supplente della comunicazione ufficiale.

UNA “MAGIA” RISOLUTIVA, per l’istituto di credito reduce della recente mancata fusione con Commerzbank come dell’annunciato licenziamento di 18mila dipendenti che pesano insopportabilmente sul bilancio. Il quale, però riporta la mega-perdita di più di 3 miliardi nel settore investiments come risulta dal resoconto finanziario dell’ultimo semestre.

Non propriamente braccia quindi, bensì leve finanziarie che minano la stabilità strutturale dell’altra torre di Francoforte, che ora se ne vuole rapidamente disfare. L’idea del nuovo amministratore delegato, Christian Sewing, è di mettere all’asta i derivati parcheggiati nella Bad bank che farebbero gola ai mercati sull’altra sponda dell’Atlantico.

UN PIANO allo stato avanzato perseguito nella proverbiale riservatezza dell’istituto-simbolo del Paese. Se non fosse per il “cane da guardia” americano che ringhia sullo sfondo. Il fondo d’investimento Cerberus Capital Management, detentore del 3% delle azioni di Deutsche Bank, spinge perché la banca insista nel mercato dei derivati: i titoli a rischio sono formalmente destinati a produrre un attivo di quasi 290 miliardi.

UN MODO PER CADERE in piedi dall’investimento nell’istituto tedesco (parallelo all’acquisto del 5% di Commerzbank) effettuato dal fondo di New York che da due anni è il quarto azionista della banca dopo i cinesi di Hna, gli emiri del Qatar e l’immancabile Blackrock.

Di fatto, americani contro tedeschi, con interessi, pesi e forze diametralmente opposti. Il Cerberus vanta la floridità del fatturato annuo pari a 17.894 miliardi di euro; Deutsche Bank, al contrario, è reduce dalla serie infinita di guai che l’hanno condotta fin sull’orlo del collasso strutturale.

Dallo scandalo della manipolazione dell’indice per i mutui sulla casa che tre lustri fa costò la testa agli amministratori più il deficit di 7 miliardi di cui due alla voce multe; all’ingiunzione di pagamento di settembre 2016 del Dipartimento della giustizia Usa che pretese il saldo a stretto giro di 14 miliardi di dollari per le vendite illegali delle obbligazioni garantite dai prestiti.

Fino alla stangata di oltre 420 milioni notificata due anni fa da Washington per avere aggirato le sanzioni contro Mosca. Senza contare i Panama Papers, le ipotesi di violazione della concorrenza su cui intendono fare luce le autorità australiane, oppure la bocciatura allo stress-test della Federal Reserve di appena dodici mesi fa. Le ultime due grane coincidono con l’apertura del fascicolo del Dipartimento della giustizia Usa sul riciclaggio di denaro in Estonia e con l’indagine sul fondo statale malese in cui Deutsche Bank sarebbe coinvolta insieme a Goldman Sachs.

PROBLEMI GIUDIZIARI a parte, dal giorno in cui Cerberus è la quarta testa dell’istituto tedesco, il valore delle azioni di Deutsche Bank è calato di quasi il 60% mentre i titoli di Commerzbank hanno perso oltre il 40%.

Da qui l’insoddisfazione del fondo Usa che ha appena visto sfumare (soprattutto a causa del diniego di Francia e Ue) la fusione dei suoi due giganti con i piedi di argilla, e ora si vede scippare di mano il mercato dei derivati di cui Deutsche Bank detiene il record. Titoli “tossici” per i tedeschi, anche sotto il profilo della geopolitica: la dimostrazione plastica della sovranità limitata della Germania in campo finanziario.

* Fonte: IL MANIFESTO



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