Israele verso il voto, sullo sfondo un nuovo conflitto armato

Israele verso il voto, sullo sfondo un nuovo conflitto armato

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I Le reazioni internazionali, giustamente critiche e negative, all’annuncio da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di voler riannettere parte dei territori palestinesi sotto occupazione, non hanno però colto il momento speciale vissuto da Israele in questi giorni che precedono le elezioni.

Naturalmente, Netanyahu si preoccupa prima di tutto del proprio interesse personale e del rischio rappresentato da processi che potrebbero spedirlo in carcere. Ma questo è solo un aspetto del crollo in corso delle istituzioni relativamente democratiche, mentre cresce enormemente un nazionalismo di stampo fascista.

L’ANNESSIONE TOTALE o parziale dei territori palestinesi occupati è il corollario di 52 anni di occupazione, a partire dalla guerra del 1967. Ma è anche parte di un problema più acuto e grave. Il bellicismo israeliano, le azioni e dichiarazioni nei confronti dell’Iran portano a una pericolosa escalation dai risultati imprevedibili. A Gaza la situazione è grave e potrebbe portare ad attacchi sanguinosi nelle prossime ore e nei prossimi giorni.

Netanyahu protegge il proprio bacino elettorale. Non può dare l’impressione di essere un leader debole. Nel Sud del paese si levano le voci di quanti, esasperati dai missili, chiedono che si agisca. Il grande leader, il leader forte, si è recato a un comizio elettorale nella città di Ashdod e dopo soli due minuti di discorso è risuonato l’allarme per un possibile missile; le guardie del corpo lo hanno accompagnato di gran carriera in un rifugio, gli astanti si sono dispersi alla ricerca di un riparo. Un’esperienza umiliante; subito sfruttata dalla destra per accusare il governo di debolezza.

Anche la pseudo-opposizione che si concentra intorno al «no Bibi» è solo vociante; tre generali e un sergente patetico e demagogico ripetono la solfa: «Daremo una lezione ad Hamas, la faremo finita con il terrore», ecc. ecc.

UN PO’ DI GUERRA CON L’IRAN? Negli ultimi anni, con l’acquiescenza di statunitensi e russi, l’aviazione israeliana ha attaccato più volte militari iraniani impegnati contro l’Isis in Siria, generalmente rimanendo in silenzio e senza dare conferme ufficiali. Ma negli ultimi mesi, il grande Bibi ha fatto sfoggio di retorica guerrafondaia e secondo fonti non israeliane gli attacchi sarebbero stati portati anche a obiettivi militari in Iran e Iraq.

La frequenza degli attacchi e la continua retorica militarista delle ultime settimane sono parte di una pericolosa escalation. È la retorica elettorale dell’uomo forte, ma è difficile prevedere se un errore o l’orrore non possano condurre a una guerra sanguinosa con l’Iran o con Hezbollah in Libano. La cacciata del super falco John Bolton da parte di Trump, il grande avventuriero, ha suscitato molto nervosismo in Netanyahu e nei suoi: l’ex consigliere per la sicurezza nazionale era il migliore alleato della linea guerrafondaia di Israele nei confronti dell’Iran.

Dopo l’intervento di Macron e degli europei, la presenza non casuale del ministro degli esteri dell’Iran per alcune ore in occasione dell’ultimo incontro del G7 in Francia, sembra un altro fattore che potrebbe mettere in crisi la linea guerrafondaia anti-iraniana finora appoggiata da Trump e Bolton. Così, l’intensificarsi degli attacchi israeliani – ormai non più tenuti segreti negli ultimi giorni – è un gioco pericoloso.

UN PO’ DI GUERRA A GAZA? L’estrema destra attacca sovente Netanyahu accusandolo di adottare una linea moderata nei confronti di Hamas, di aver stipulato accordi relativi all’arrivo di fondi dal Qatar e alla costante opera di mediazione da parte dell’Egitto.

I missili degli ultimi giorni sono stati attribuiti a organizzazioni avversarie di Hamas. Chissà… Ma è necessario aver chiaro il collegamento fra le azioni di Hamas e la politica di Netanyahu. Hamas è il presunto volto radicale dei palestinesi, controlla Gaza e si oppone all’Anp di Abu Mazen, il governo moderato della Cisgiordania che considera «collaborazionista».

Lo abbiamo scritto numerose volte: l’unità fra i palestinesi è la precondizione per arrivare alla pace. Per Netanyahu oggi, come fu per Sharon nel 2005 quando decise il ritiro unilaterale dalla Striscia, l’obiettivo politico è chiaro: la tensione in quel carcere a cielo aperto che è Gaza, la repressione e scontri di limitata entità sono fatti che consentono di andare avanti con il grande progetto della destra nazionalista di Israele, vale a dire la progressiva, graduale annessione della Cisgiordania. Per Hamas, la tensione, i morti e i risultati sono parte del conflitto interno.

CRESCE IL FASCISMO RAZZISTA. Alle elezioni dello scorso aprile, su invito del Likud, nei villaggi arabi si sono presentati attivisti israeliani muniti di macchine fotografiche. Hanno provocato incidenti che hanno poi influito sulla scarsa affluenza alle urne. Una settimana prima delle elezioni, il Likud aveva preteso l’approvazione di una nuova legge che consentisse l’invio di militanti con macchine fotografiche «così da evitare il furto dei voti».

Chi vorrebbe imbrogliare alle elezioni? Ma gli arabi, la sinistra. Un pericolo. Insomma: la sconfitta del Likud o della destra non può che essere illegale.
Miki Zohar, il principale lacchè del premier Netanyahu alla Knesset, ha insistito sul «pericolo del furto del voto» – ovviamente a opera degli arabi – e di fronte alle proteste del deputato Ahmad Tibi, palestinese israeliano della Lista araba unita, ha sottolineato la supremazia della razza ebraica.

Una razza speciale: è questa la linea del Likud? Giovedì scorso, mentre il premier era in partenza per una breve visita a Vladimir Putin, la pagina Facebook del Likud pubblicava un nuovo messaggio: «Gli arabi (i cittadini arabi di Israele, non i paesi arabi) vogliono eliminarci tutti, donne, bambini e uomini». Un errore, certamente: Netanyahu ha ordinato di rimuovere il messaggio e di ammonire l’addetto (incognito) responsabile dell’errore.

E TUTTAVIA le connotazioni razziste sono chiare: «Noi, la razza speciale, siamo in pericolo. Vogliono rubarci le elezioni, vogliono eliminarci tutti». Corriamo a votare per evitare il disastro… Ma che cosa faranno Netanyahu e il suo governo in caso di risultati sfavorevoli?
Giovedì scorso in mattinata il ministro delle finanze e lo stesso premier hanno dichiarato che occorrerà un’azione militare per mettere fine all’aggressione di Hamas da Gaza. Martedì prossimo le elezioni, o…?

* Fonte: Zvi Schuldiner, il manifesto



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