* Fonte: Roberto Ciccarelli, il manifesto
Rider, lotta per i diritti e sicurezza. L’urgenza di un reddito minimo
Forza lavoro. Le indagini della procura di Milano sulla violazione delle norme sulla sicurezza rivelano, ancora una volta, l’attualità delle rivendicazione dei ciclofattorini sulle tutele e le garanzie nel rapporto di lavoro subordinato, e non di collaborazione come pretendono le piattaforme digitali. Ed è arrivato il momento di porre finalmente la questione del reddito tra i periodi di lavoro e non lavoro
Il mancato rispetto delle norme sull’igiene e sulla sicurezza stradale e sul lavoro, contestato dalla procura di Milano, è uno degli aspetti strutturali dell’economia dei lavoretti (Gig economy) basata sul lavoro a cottimo, sulla necessità imposta ai rider dalle piattaforme di bruciare i tempi e misurare le loro prestazioni sulla base di classifiche di rendimento. Questi tempi produttivi moltiplicano gli incidenti stradali dei rider, anche molto gravi come è accaduto a Milano o a Bologna, e hanno imposto perlomeno alcune forme di assicurazione integrativa. Ma il problema è a monte e va considerato in primo luogo rispetto alla tipologia del rapporto di lavoro con le piattaforme digitali.
A questo proposito è esemplare la reazione di Assodelivery, l’associazione alla quale aderiscono Deliveroo, Glovo, Just Eat, Social Food e Uber Eats. Annunciando «tolleranza zero» rispetto a tre presunti casi di caporalato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha evidenziato che i rider «sono lavoratori autonomi che svolgono servizi per le piattaforme e possono scegliere quando, quanto, dove e come svolgere l’attività con le piattaforme».
È la posizione classica delle piattaforme che confondono la libertà dei rider di scegliere i tempi dell’impiego con la loro subordinazione effettiva nel corso dell’esecuzione della mansione che risponde ai tempi e alle modalità imposte dal datore di lavoro. Il che non esclude che siano «autonomi» fuori dal rapporto con le piattaforme.
Il problema è che sono «subordinati» quando accettano portano il cibo giapponese da un ristorante alla casa del consumatore che l’ha ordinato dall’applicazione del suo smartphone. Per questa ragione i collettivi autonomi del sindacalismo sociale, i sindacati e una giurisprudenza nata grazie alle lotte per i diritti dei rider sostengono che questo segmento del lavoro digitale è un lavoro (para)subordinato che va regolato con le norme previste dalla legge, tra l’altro del Jobs Act.
Su questo punto lo scontro con le piattaforme, non solo con quelle del food delivery, è globale. In California è stato riconosciuto il legame di subordinazione, e ciò rappresenta un elemento chiarificatore non privo di problemi (Il Manifesto, 12 settembre). In Italia il decreto-legge n. 101 del 3 settembre scorso, ultimo atto di Di Maio da ministro del lavoro, è in attesa di una conversione in legge in parlamento.
Il testo ha offerto una soluzione pilatesca. Non ha chiarito se per i rider è necessaria una dilatazione della nozione di subordinazione o quella di collaborazione etero-organizzate. Anzi, ha formulato l’ipotesi di un «cottimo misto», avversato dalle lotte dei lavoratori, e subordina il compenso orario alla condizione che, per ciascuna ora lavorativa, il lavoratore accetti almeno una chiamata. Ipotesi discutibile che lascia il potere agli algoritmi nelle flotte numerose. Al nuovo governo tocca imprimere una svolta radicale e rispondere al problema, posto dai sindacati, se i rider rientrano nel contratto della logistica. E va finalmente affrontato il problema che riguarda tutti i lavoratori occasionali e a termine, non solo quelli «digitali». Il riconoscimento della subordinazione coglierebbe solo un momento di una vita composta da attività precarie, ma non il continuo passaggio tra periodi di lavoro e non lavoro nella generale precarizzazione.
La vera risposta è un reddito minimo garantito, il più esteso possibile. Un’esigenza totalmente disattesa dal cosiddetto «reddito di cittadinanza».
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Rider sfruttati e insicuri. La procura di Milano indaga
Il caso . Violate le norme sulla sicurezza e sull’igiene, ipotesi di caporalato digitale in tre casi
Mancato rispetto delle tutele contrattuali, norme igienico-sanitarie carenti nei contenitori che trasportano il cibo, inosservanza della sicurezza sulle strade e nel lavoro, occupazione di lavoratori stranieri irregolari e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. È il fascicolo aperto dalla procura di Milano che, per il momento, procede senza ipotesi di reato e senza indagati contro le piattaforme della consegna di cibo a domicilio attraverso le piattaforme digitali (food delivery) che operano nel capoluogo lombardo.
L’INDAGINE, coordinata dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Maura Ripamonti, è iniziata a luglio e ha riguardato 30 ciclofattorini («rider»), di cui tre sono risultati stranieri non in regola, identificati durante i controlli a campione condotti dalla polizia locale di Milano. L’ipotesi degli inquirenti è che alcuni fattorini, titolari di un rapporto di lavoro con le piattaforme in questione, abbiano ceduto il proprio account a immigrati senza permesso di soggiorno per ricevere in cambio una percentuale dell’incasso su ogni consegna. In questo caso si configurerebbe un rapporto di caporalato.
Le indagini non riguardano la tipologia del rapporto di lavoro, ma un altro aspetto della logistica leggera metropolitana, ugualmente denunciato dai collettivi autonomi che si sono organizzati per tutelare i diritti dei rider: il mancato rispetto del decreto legislativo 81/2008, il testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che si applica non solo ai lavoratori subordinati ma anche agli autonomi. La carenza di prevenzione, l’approssimazione dell’equipaggiamento e l’imposizione di tempi produttivi, tipici delle consegne a domicilio, aumentano gli incidenti anche gravi.
Gli inquirenti potrebbero contestare reati ai datori di lavoro anche su questo aspetto. «Tutto nasce – ha detto il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano – da una fotografia di una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Oramai muoversi di sera in città è diventata una sfida contro le insidie e i pericoli per via di questo sistema di distribuzione del cibo. Con questi rider che, nelle ore canoniche, sfrecciano senza alcun presidio» come i giubbotti catarifrangenti o il casco, «e senza alcuna osservanza delle regole stradali, in contromano o sul marciapiede». Per i magistrati l’economia dei lavoretti (gig economy) crea rischi sia per la cittadinanza che per i lavoratori. L’indagine, dicono, «ci permette di esplorare questo fenomeno che è ampio ed è in espansione ma senza controlli.
LA PROCURA preferisce intervenire prima ed esercitare un ruolo di prevenzione» e «auspica» che altri lavoratori si facciano avanti per denunciare irregolarità o sfruttamento. Solo quando avrà un quadro completo procederà con la formulazione delle ipotesi di reato
*** GIG ECONOMY. In italiano: «Economia dei lavoretti». È un mercato del lavoro dove prevalgono contratti a breve termine, spesso confusi e sovrapposti con le prestazioni di lavoro autonomo, al fine di negare l’esistenza di rapporti di lavoro subordinato e usati per scaricare i costi delle tutele sociali e previdenziali sulle spalle dei prestatori d’opera.
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