Distopie dal mondo nuovo. Conquistare diritti, cambiare il futuro

Distopie dal mondo nuovo. Conquistare diritti, cambiare il futuro

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Questo l’inizio dell’introduzione di Sergio Segio al 17° Rapporto sui Diritti Globali “Cambiare il sistema”, Ediesse editore

Non c’è più tempo. Il pianeta va a fuoco. Letteralmente, a cominciare dalla vitale riserva amazzonica. L’olocausto ambientale avanza senza adeguate resistenze, denunciano nuovi e agguerriti movimenti come Extinction Rebellion e Friday for Future, assieme a una crescente minoranza di giovani, finalmente determinata a costruire e difendere il proprio futuro e, assieme al proprio, quello di tutti.

I “tutti”, il mondo degli adulti, la maggioranza, assiste e subisce gli effetti del riscaldamento globale e dei fenomeni metereologici estremi con passività, preoccupata o rassegnata, ma comunque incapace di opporsi all’estinzione, essendo da tempo stata privata di ogni strumento di lettura critica della realtà e di ogni capacità di perseguire e, ancor prima, di immaginare un’alternativa allo stato di cose presente.

I nemici dell’umanità e i crimini di sistema

I governi mondiali si dividono tra chi reagisce alla catastrofe incipiente con parole vuote e inconseguenti, chiede ancora tempo e insiste negli errori e chi addirittura la nega e si rifiuta di tirare il freno di emergenza, con perseveranza più che diabolica criminale. Se quest’ultimo aggettivo vi sembra forzato o troppo drastico è solo perché non conoscete sufficientemente i dati e gli effetti drammatici in corso e quelli, ancor più letali, prossimi venturi. Ma anche senza conoscere i dati, basterebbe essere rigorosi nel ragionamento. Come fa, ad esempio, lo storico e sociologo Marco Revelli: «Ci sono i nemici dell’umanità. Quelli che insultano Greta e insinuano che sia serva delle lobby. Sono criminali, non ho problemi a dirlo, gente il cui unico scopo è continuare a fare la vita agiata che hanno fatto finora fregandosene del futuro e della collettività. Ci sono poi i sepolcri imbiancati che fingono di lodare e ascoltare il messaggio degli innocenti e quotidianamente lo tradiscono. Sono gli sviluppisti. Quelli della TAV, degli oleodotti, del cemento, delle pipeline. I teorici dello sviluppo come bene assoluto. Ci sono le piccole lobby che sperano di guadagnare, di una coscienza green non risolutiva dei problemi del pianeta» (Lorenzo Mara Alvaro, Revelli: «Cari adulti, giù le mani da Greta», “Vita”, in http://www.vita.it/it/article/2019/10/01/revelli-cari-adulti-giu-le-mani-da-greta/152814, 1° ottobre 2019).

O, con ancora maggiore nettezza, come argomenta il giurista Luigi Ferrajoli: «La differenza con le politiche dei Minniti o dei Macron è questa: se prima in Italia la violazione dei diritti umani era occultata, ora è sbandierata come fonte del consenso. Salvini sta promuovendo un abbassamento del senso morale a livello di massa. Non si limita a interpretare la xenofobia, la alimenta. La sua politica sta ricostruendo le basi ideologiche del razzismo. […] I crimini di sistema sono violazioni massicce del diritto internazionale e dei diritti fondamentali. Non sono reati perché non sono imputabili alla responsabilità di singole persone, ma a interi sistemi economici e politici. Ciò non toglie che siano violazioni gravissime dei diritti stabiliti in tutte le carte costituzionali e internazionali. Sono politiche criminali, che provocano ogni anno decine di migliaia di morti, oltre all’apartheid mondiale di due miliardi di persone. Verrà un giorno in cui questi atti saranno ricordati come crimini, e non potremo dire non sapevamo, perché sappiamo tutto. Dei campi di concentramento in Libia, dei naufragi, della fuga causata dai cambiamenti climatici, dalla fame e dalle crisi economiche prodotte dalle politiche del capitalismo di rapina» (Ferrajoli: «Salvini fa un uso demagogico del diritto. Il suo è populismo penale», intervista a cura di Roberto Ciccarelli, “il manifesto”, 5 luglio 2019).

La casa brucia

Si tratta di effetti con cause precise e con dolose responsabilità, come quelle alla base della volontà, appunto criminale, di distruggere l’Amazzonia, polmone verde, banca dell’ossigeno e patrimonio di biodiversità di tutto il pianeta. Un piano, definito a tavolino, svelato da “The Intercept”, il sito di informazione diretto da quel Glenn Greenwald che nel 2013, dalle colonne del “Guardian”, aveva fatto scoppiare lo scandalo del Datagate con le rivelazioni di Edward Snowden. Insomma, un professionista delle inchieste, uno dei non più moltissimi giornalisti appassionati alla verità e capaci di portarla alla luce in uno scenario globale in cui l’informazione è sempre più inquinata dalle fake news, immiserita in notizie “usa e getta” e, soprattutto, asservita ai grandi gruppi editoriali e finanziari.

Quello ora svelato è il progetto “Barão de Rio Branco”, definito già nel febbraio 2019 dal governo di Jair Bolsonaro, che prevede in Amazzonia la costruzione di dighe, di autostrade, ponti e centrali idroelettriche, l’intensificazione dello sfruttamento minerario, l’occupazione di terreni coltivabili e l’insediamento di popolazioni non indigene. La volontà sarebbe quella di trasformare quell’area, considerata una regione improduttiva e desertica, con grandi progetti infrastrutturali e attraverso un ripopolamento, a danno delle popolazioni indigene. Si tratta di una sorta di riedizione di quella “Operazione Amazzonia”, il piano di colonizzazione messo in atto a suo tempo dalla dittatura militare in Brasile che insanguinò e mortificò il Paese dal 1964 al 1985. La National Truth Commission ha poi stimato che almeno 8.350 indigeni furono uccisi dal governo militare in quell’operazione che triplicò il tasso di deforestazione e causò enormi danni ambientali.

Ricalcando quelle orme e quelle logiche – a beneficio dei medesimi interessi e gruppi di potere – il nuovo progetto intende abbattere le foreste e scacciare le comunità indigene per dare spazio ancora maggiore all’agribusiness, all’estrattivismo, a grandi opere e grandi affari. Il tutto giustificato pubblicamente con preoccupazioni sovraniste sul rischio che altre potenze straniere vogliano occupare quella enorme regione scarsamente popolata, anche qui riesumando argomenti della passata dittatura e alimentando visioni complottistiche su presunti appetiti della Cina (Tatiana Dias, Operation Amazon Redux, in https://theintercept.com/2019/09/20/amazon-brazil-army-bolsanaro, 20 settembre 2019).

Fatto sta che nel solo mese di agosto 2019 sono stati migliaia e migliaia gli incendi che hanno distrutto grandi estensioni di foresta amazzonica. L’Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale brasiliano (Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais, INPE) ha quantificato una crescita del 79% rispetto allo stesso periodo del 2018; ma il mese peggiore è stato luglio, con un aumento del 278% su quello dell’anno precedente, con la perdita di circa 2.250 chilometri quadrati di foresta pluviale. Il direttore dell’INPE, Ricardo Galvao, è stato prontamente licenziato da Bolsonaro per la diffusione dei preoccupanti dati, dopo essere stato accusato, naturalmente, di operare «al servizio di alcune ONG».

Se pur l’Amazzonia è il polmone, insostituibile e vitale, il problema è comunque più generale, tanto che Global Forest Watch stima che nel 2018 siano andati persi più di 12 milioni di ettari di copertura arborea, di cui 3,6 milioni di foresta pluviale primaria. La stessa organizzazione indica in addirittura 578.867 gli allarmi per incendi nell’Amazzonia brasiliana tra il 1° luglio e il 31 agosto 2019. Le distruzioni estive, peraltro, non hanno riguardato solo il Brasile. Anche la Bolivia, ad esempio, nell’agosto 2019 ha visto devastati, secondo le prime stime, oltre quattro milioni di ettari di foreste in fuochi che hanno provocato anche la morte di almeno 2 milioni e 300 mila animali di diverse specie. Un danno considerato irreversibile dagli esperti. Per non parlare – e infatti pochi lo hanno fatto – della martoriata Africa, che ha visto un’estate di roghi, particolarmente in Congo e Angola, tra i peggiori avvenuti negli ultimi 15 anni.

Nel medesimo periodo altre centinaia di incendi hanno colpito la Siberia, provocando, secondo le prime stime di Greenpeace Russia, 166 milioni di tonnellate di anidride carbonica, equivalenti alle emissioni annuali di 36 milioni di auto. Egualmente drammatici i dati dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, secondo cui tra giugno e inizio luglio 2019 vi sono stati oltre 100 incendi intensi e di lunga durata nel circolo polare artico, che hanno emesso nell’atmosfera 50 megatonnellate di biossido di carbonio, il che equivale alle emissioni annue totali della Svezia. Una cifra ben superiore rispetto al passato, a indicare una situazione eccezionale e in rapido deterioramento. Per l’Organizzazione, la parte settentrionale del mondo si sta riscaldando più velocemente del pianeta nel suo insieme, il che aumenta sensibilmente i rischi di incendio delle foreste, tanto che uno studio recente indica che «le foreste boreali della Terra stanno bruciando a un ritmo mai visto in almeno 10.000 anni» (World Metereological Organization, Unprecedented wildfires in the Arctic, in https://public.wmo.int/en/media/news/unprecedented-wildfires-arctic, 12 luglio 2019).

Insomma, il mondo brucia come non mai, ma in particolare l’Amazzonia si trova a maggior rischio in ragione delle scelte politiche e delle strategie del Brasile, il cui presidente, nel suo intervento del 25 settembre 2019, ha ribadito anche al Vertice sull’ambiente di New York delle Nazioni Unite di considerare quelle aree “roba sua” e non un inalienabile patrimonio dell’umanità.

Difficile stabilire quanti di questi incendi e devastazioni siano accidentali e quanti intenzionali e, tra questi ultimi, quanti determinati da specifici interessi economici. Uno dei principali è sicuramente quello delle industrie legate al settore dell’alimentazione, nelle mani di poche multinazionali legate alla produzione e alla distribuzione di cibo e, per quanto riguarda il Brasile, in particolare di carne e della sua filiera; dunque allevamenti, impianti di macellazione ma anche coltivazioni di mangimi e di soia. Proprio la soia è concausa del drammatizzarsi della situazione, poiché la “guerra dei dazi” aperta da Trump contro la Cina ha spinto quest’ultima a rivolgersi al mercato brasiliano, che per soddisfare la richiesta dovrebbe produrne circa ulteriori 40 milioni di tonnellate, arrivando a 123 milioni l’anno e soppiantando gli Stati Uniti dal posto di primo produttore mondiale. Vuol dire un aumento delle piantagioni del 39%, circa 13 milioni di ettari da ricavare dal disboscamento dell’Amazzonia.

Per avere un’idea delle dimensioni delle multinazionali interessate a quel territorio, e dunque dei profitti, e dunque del potere, si pensi che una di queste, la statunitense Cargill (definita dall’organizzazione ambientalista Mighty Earth «la peggiore del mondo», poiché avrebbe ripetutamente rifiutato di interrompere i rapporti con i fornitori direttamente coinvolti nella deforestazione), opera in 70 Paesi con 160 mila dipendenti; nell’anno fiscale 2018 ha realizzato un fatturato di 114,7 miliardi di dollari, con un utile netto di oltre 3 miliardi. La Bunge Limited, con oltre 30 mila dipendenti, presente in 35 Paesi, nel 2018 ha fatturato 45,7 miliardi di dollari. La brasiliana JBS, tra i principali produttori di carne bovina e suina, sempre nel 2018 ha realizzato 41,3 miliardi di euro di fatturato, con un utile lordo di 6 miliardi; impiega 230 mila dipendenti in circa 400 siti ed esporta in almeno 150 Paesi (Corrado Fontana, Amazzonia in fiamme: nomi e cognomi di chi ci sta guadagnando, in https://valori.it/amazzonia-brucia-nomi-speculatori, 17 settembre 2019).

Gli interessi speculativi sono dunque enormi. Per tutelarli non solo può accadere – e accade – che vengano appiccati incendi, ma anche che si violino i diritti umani, molto spesso in collusione con le autorità statali. E anche che si uccida, come documenta ogni anno il Rapporto di Global Witness, il quale, oltre a innumerevoli attacchi, arresti, minacce di morte o azioni legali, ha conteggiato 164 omicidi di attivisti e difensori dell’ambiente avvenuti nel 2018. Venti di questi assassinii si sono verificati in Brasile, al quarto posto per numero di uccisioni a livello mondiale; prima vi sono le Filippine con 30 ambientalisti uccisi, la Colombia con 24 e l’India con 23 (Global Witness, Enemies of the State?, in https://www.globalwitness.org/en/campaigns/environmental-activists/enemies-state, luglio 2019).

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Questo l’indice dei diversi paragrafi della introduzione di Sergio Segio:

I nemici dell’umanità e i crimini di sistema

La casa brucia

La normalizzazione del “cortile di casa” statunitense

How dare you?

I Rapporti degli scienziati mondiali

L’industria della negazione e del greenwashing

Lavoro verde e sicuro, non industrie nocive e di morte

Dire la verità, decarbonizzare il pensiero e le politiche

Rispettare Madre Terra, costruire nuovi mondi

L’illusione dell’eterno presente e la nostalgia del futuro

Il mondo sta esplodendo

La paura e la speranza

I testimoni del Novecento

La politica e l’importanza della Storia

Il contagio dell’odio

Le radici dell’uomo qualunque

La rincorsa del centro

I diritti smarriti dei lavoratori

Politica come visione e progetto

Collusioni nascoste e accordi indicibili

Il nuovo ricatto del sultano turco

Mare nostrum

I confini uccidono

Contro le ONG. Il ritorno di Minniti

Guerre, diseguaglianze, crisi ambientale. Cambiare il sistema

I costi delle guerre

La nuova strategia USA per la supremazia militare

Le armi contro il clima

***

Il 17° Rapporto sui Diritti Globali, con l’introduzione integrale, in formato cartaceo o in ebook, può essere acquistato anche online: qui



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