Cop27. Emissioni, quasi nessuno ha rispettato il Patto di Parigi

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Clima, presentato il report sulle performance degli inquinatori: la Cina peggio degli Usa

 

Il clima si surriscalda mentre sulla COP27 di Sharm el Sheikh si abbattono una serie di docce fredde: l’ennesima è rappresentata dalla presentazione del Climate Change Performance Index 2023, il rapporto annuale che dal 2005 a questa parte informa sulla performance climatica dei principali Paesi del Pianeta, redatto da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute: per numero di paesi preso in considerazione arriva a coprire il 92% delle emissioni globali; si tratta di una classifica alla cui testa dovrebbero stare le Nazioni in linea con gli obiettivi di contrasto alla crisi climatica concordati a Parigi nel 2018; peccato che le prime tre posizioni sono andate deserte, ovvero come lo scorso anno nessuno dei 59 Stati presi in considerazione dal rapporto ha raggiunto i livelli necessari a contenere l’aumento della temperatura media globale entro la soglia critica di 1,5°C.

LE PERFORMANCE analizzate nel rapporto annuale hanno vengono misurate attraverso un indice basato per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo di rinnovabili ed efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica. La prima, ma sarebbe più preciso dire quarta, in classifica è la Danimarca, seguita immediatamente dalla Svezia, premiate soprattutto grazie al loro impegno per l’abbandono delle fonti fossili e nello sviluppo delle rinnovabili. Nonostante una situazione economica ben diversa, i paesi scandinavi sono seguiti da Cile, Marocco e India che rispetto l’anno precedente hanno rafforzato l’azione climatica.

DALL’ALTRA PARTE, in fondo alla classifica troviamo, invece, i paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Iran, Arabia Saudita e Kazakistan. Per quanto riguarda il paese maggiore responsabile delle emissioni globali, la Cina, il rapporto segnala la caduta al 51 esimo posto, con una perdita di ben 13 posizioni rispetto allo scorso anno; la causa del peggioramento, nonostante il forte impegno sulle rinnovabili, è il ritorno a carbone e la scarsa efficienza energetica del suo sistema produttivo.

DIETRO ALLA CINA, al 52° posto, ma guadagnando tre posizioni rispetto allo scorso anno, si piazzano gli Stati Uniti: il paese secondo emettitore globale ha ottenuto questo miglioramento con ogni probabilità grazie alla nuova politica climatica ed energetica dell’Amministrazione Biden che inizia a dare i suoi primi frutti, grazie al considerevole sostegno finanziario all’azione climatica previsto dall’Inflation Reduction Act.

Tra i Paesi del G20, solo India (8°), Regno Unito (11°) e Germania (16°) si posizionano nella parte alta della classifica, mentre l’Unione Europea nel suo complesso sale di tre gradini rispetto allo scorso anno, raggiungendo il 19° posto grazie a nove Paesi posizionati nella parte alta della classifica, frenata però dalle pessime performance di Ungheria e Polonia che continuano a essere fanalino di coda. Per quanto riguarda l’Italia la situazione è sostanzialmente di stallo: il nostro paese guadagna appena una posizione rispetto all’anno precedente, passando dalla 30° alla 29° e rimanendo quindi al centro della classifica, scavalcata di poco da Francia, Colombia, Spagna e Grecia, mentre fanno un pochino peggio di noi Croazia, Messico, Austria e Nuova Zelanda.

SECONDO LEGAMBIENTE, che ha collaborato al rapporto per l’Italia, il nostro immobilismo è dovuto al rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili: nella classifica specifica l’Italia è 33esima; questo quando le potenzialità ci sono: secondo Climate Analytics, in Italia è possibile raggiungere almeno il 60% nel mix energetico e fino al 90% nel mix elettrico entro il 2030 e arrivare al 100% di rinnovabili nel settore elettrico già nel 2035, creando così le condizioni per giungere alla neutralità climatica ben prima del 2050. Potenzialità confermate anche da Elettricità Futura, la quale di recente ha ribadito che le sue imprese “assicurano da tempo la loro capacità di realizzare fino a 20 GW l’anno, se le autorizzazioni pubbliche riuscissero a reggere il ritmo (oggi marciano a circa 1 GW l’anno).

L’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), consente un taglio delle emissioni di appena il 37% rispetto al 1990 entro il 2030. Mentre per raggiungere l’obiettivo del 45% previsto da REPowerEU sarebbero sufficienti circa 10 GW di nuovi impianti l’anno, ossia 85 GW di rinnovabili entro il 2030.

A SHARM EL SHEIKH intanto qualche timido passo in avanti è stato fatto in relazione al fondo per ristorare le perdite e i danni (loss & damage) del riscaldamento globale: una prima bozza di documento prevede l’avvio di un processo di due anni, che porti all’attuazione del fondo nel 2024: da decidere se nominare una commissione ad hoc oppure condurre un negoziato meno strutturato, affidato a vari organismi sotto la regia dell’Onu.

* Fonte/autore: Serena Tarabini, il manifesto



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