«Il Trattato e il relativo regime di monitoraggio e verifica sono più importanti che mai e gli Usa apprezzano gli sforzi degli Stati in questa direzione – ha detto Hruby – Tuttavia, permangono ostacoli di natura politica e tecnica alla ratifica statunitense».

LA SEDE SCELTA per esprimere la posizione non poteva essere più ufficiale: Hruby è intervenuta all’apertura della biennale conferenza scientifica dell’organizzazione internazionale che supervisiona il Trattato, in corso a Vienna. Dal prestigioso salone delle feste di Hofburg, già residenza degli Asburgo, ha garantito però il rispetto della moratoria: «Gli Stati Uniti non effettuano esperimenti nucleari dal 1992».

C’era molta attesa per l’intervento della sottosegretaria pronunciato di fronte a un migliaio di scienziati e diplomatici. Ma erano poche le speranze che gli Usa volessero riprendere la strada del disarmo intrapresa negli anni ’90. Nel 1996 il presidente Bill Clinton fu uno dei primi a firmare il Trattato. Solo tre anni dopo, il Senato a maggioranza repubblicana votò contro la ratifica necessaria per la sua applicazione, scatenando le proteste dell’allora senatore del Delaware Joe Biden.

Neanche Barack Obama, che ne aveva fatto un obiettivo dichiarato, riuscì a convincere i senatori durante i suoi due mandati. Le parole di Hruby hanno chiarito che l’attuale amministrazione non ci proverà nemmeno.

SENZA LA RATIFICA il Trattato rimane lettera morta. A parole sono (quasi) tutti d’accordo. Lo hanno firmato 186 Stati e ratificato in 177. A Vienna, anche il ministro degli esteri della Somalia ha annunciato la prossima firma e ratifica. Per la sua entrata in vigore serve però quella degli Stati che detengono la tecnologia nucleare: oltre agli Usa, non lo hanno tradotto in legge Cina, Iran, Israele ed Egitto. Di India, Pakistan e Corea del Nord manca persino l’adesione.

Nonostante le difficoltà diplomatiche, il Trattato non è stato inutile e ha instaurato una moratoria di fatto sui test nucleari. Dopo gli oltre duemila dello scorso secolo, nel nuovo millennio solo la Corea del Nord ne ha effettuato uno. Le tensioni internazionali ora rimettono tutto in discussione.

La Corea del Sud in primavera ha espresso l’intenzione di dotarsi della bomba, che richiederebbe nuovi esperimenti: per ora ha rinunciato solo in cambio di una collaborazione rafforzata con gli Usa contro Pyongyang. Anche in Giappone è in corso da anni un dibattito sull’opportunità di sviluppare un arsenale nucleare, viste le turbolenze dell’area. Nello scorso febbraio il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che se gli Usa dovessero effettuare nuovi test anche la Russia riprenderà i suoi.

A VIENNA Hruby ha garantito che in futuro gli Usa si limiteranno a effettuare esperimenti nucleari cosiddetti «subcritici», in cui si usano esplosivi tradizionali e quantità di plutonio troppo piccole per innescare la reazione a catena che porta a una detonazione atomica. I test subcritici non sono vietati dal Trattato.

Dagli anni ’90 gli Usa ne hanno effettuati 33 e, ha spiegato Hruby, «continueranno al ritmo di circa tre ogni anno fino al 2030». Saranno condotti a circa 300 metri di profondità nel sottosuolo del Nevada National Security Site, eppure gli Usa promettono «trasparenza» e persino la diretta in streaming. L’era atomica, con i suoi segreti e le sue bugie, non è ancora finita.

* Fonte/autore: Andrea Capocci, il manifesto