Giustizia per Mario Paciolla, un “suicidio” mai indagato

Giustizia per Mario Paciolla, un “suicidio” mai indagato

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Tre anni fa un burocrate annunciava ai genitori che il figlio si era impiccato in Colombia. Lavorava alla missione di pace dell’Onu

 

Il 16 luglio del 2020 un impiegato delle Nazioni Unite telefona ad Anna e Pino, genitori di Mario Paciolla. Con toni sbrigativi, comunica che Mario si è suicidato a San Vicente del Caguán, in Colombia, e domanda ai genitori se sono interessati al rimpatrio della salma. Paciolla lavorava nella Missione di Pace dell’Onu e quel 16 luglio avrebbe dovuto fare ritorno in Italia. «Mario era proiettato al futuro», dicono i genitori, «l’ultimo atto che compie è l’acquisto di un biglietto per tornare a casa. Poche ore prima di morire aveva comunicato via mail all’ambasciata che stava lasciando la Colombia». Secondo Anna e Pino, durante le chiamate nei giorni antecedenti al 16 luglio Paciolla aveva manifestato, preoccupato, «la necessità di tornare a casa al più presto».

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Mario Paciolla alias Astolfo Bergman, scrittore e attivista

NONOSTANTE L’AUTOPSIA eseguita in Colombia propendesse per l’ipotesi del suicidio, sono emersi fin da subito elementi contraddittori. La possibilità di svolgere ulteriori analisi medico-legali è stata ostacolata dai depistaggi del capo della sicurezza della Missione, Christian Thompson, che ha ripulito l’appartamento prima dell’intervento della polizia locale. Anna e Pino hanno scritto una lettera alle Nazioni Unite per chiedere spiegazioni: «La mancata comunicazione all’ambasciata italiana della morte di un proprio cittadino e la fretta con la quale è stata fatta pulizia con la candeggina sono comportamenti che esigono spiegazioni, così come la scelta di gettare nella discarica gli oggetti appartenuti a Mario e le sue agende, mai ritrovate».

DOPO IL RIENTRO della salma in Italia, il medico legale Vittorio Fineschi ha svolto una seconda autopsia, dalla quale emergono dettagli che smentirebbero l’ipotesi del suicidio. Le ferite post mortem, la posizione della sedia su cui si sarebbe impiccato, lo strangolamento previo alla morte per asfissia, l’altezza della grata a cui è stato appeso il lenzuolo sono alcuni degli elementi che portano Fineschi a determinare che con “ragionevole certezza” Mario non si è suicidato. Nonostante ciò, la procura di Roma, che aveva avviato un’indagine per omicidio contro ignoti, lo scorso maggio ha chiesto l’archiviazione. In segno di protesta, un gruppo di attivisti ha organizzato, con la famiglia di Mario, un flash mob fuori dal tribunale. Le legali Motta e Ballerini si sono opposte all’archiviazione e chiedono che vengano considerate le incongruenze scientifiche, «assolutamente non spiegabili con il suicidio».

«ALLA LUCE di questi fatti – dichiarano Anna e Pino – il silenzio dell’Onu ci insospettisce e ci addolora». Secondo i genitori, il movente della morte di Paciolla va ricercato nel suo contesto lavorativo. La Missione delle Nazioni Unite in questi anni è stata al centro di diverse polemiche. Il capo della missione Carlos Ruiz Massieu sarebbe stato favorito nella sua ascesa come diplomatico da alcuni parenti, membri della potente famiglia messicana De Gortari-Ruiz Massieu, invischiata in scandali legati a narcotraffico, riciclaggio di denaro,corruzione e diversi omicidi. La famiglia rappresenta l’élite politica messicana che ha governato il paese per decenni in un contesto di violazione sistematica dei diritti umani con la sparizione forzata di migliaia di civili. Lo stesso Ruiz Massieu è stato oggetto di denunce anonime provenienti dall’interno della Missione, in cui si descrive un clima organizzativo caratterizzato da abusi di potere e cattiva gestione dei conflitti. In questo senso, stride il fatto che non siano stati presi provvedimenti nei confronti di Cristian Thompson, l’ex militare, consulente della sicurezza per imprese e per l’agenzia statunitense Usaid, che ha infranto i protocolli interni dell’Onu ripulendo la scena del presunto crimine e ha fatto sparire gli effetti personali di Mario. Thompson continua a lavorare nella Missione ed è stato spostato dalla località di San Vincente del Caguán alla capitale Bogotá, dove ora si occupa di gestire la sicurezza della Missione a livello nazionale. Sulla sua scrivania passano le mail di tutti i team di lavoro che operano in Colombia.

Alla luce dei depistaggi, della lentezza del sistema giudiziario e del silenzio dell’Onu, la lotta per la verità e la giustizia per Mario è diventata in questi tre anni una battaglia civile che ha permesso, raccontano Anna e Pino, «l’incontro con il presidente Mattarella, i banner nelle Case Comunali, l’aula nell’istituto Orientale a lui dedicata, la targa affissa nel Kobe Park, la collana di letteratura colombiana edita da Cafiero e Marotta, il murale di Mario ritratto da Jorit al liceo Vittorini, la copertina dedicata a Mario della rivista Confronti, le panchine arancioni di Latina e Ronchi dei Legionari». I genitori di Paciolla visitano spesso associazioni e istituti scolastici italiani per parlare dell’impegno di Mario.

«MOLTO È STATO realizzato in collaborazione con il collettivo Giustizia per Mario Paciolla, con il comune di Napoli, con consorzi e associazioni locali, con il mondo del basket. La gente comune che ci ha dimostrato vicinanza e affetto». L’impegno di Anna e Pino ricorda la storia dei movimenti latinoamericani di familiari di vittime di violazioni dei diritti umani. I loro sforzi per esigere verità e giustizia per il figlio aiutano a diffondere una cultura politica di pace e una coscienza civile di resistenza, mantenendo vivi, al contempo, gli ideali di solidarietà di Mario.

* Fonte/autore: Gianpaolo Contestabile, Simone Ferrari, il manifesto



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