Israele nega i visti ai funzionari: «Daremo una lezione all’Onu»

Israele nega i visti ai funzionari: «Daremo una lezione all’Onu»

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Le reazioni all’intervento di Guterres. Ieri sera il voto del Consiglio di sicurezza su due risoluzioni: una Usa e una russa

 

Si è detto «scioccato» Antonio Guterres dei «travisamenti di alcune delle mie dichiarazioni, come se avessi giustificato gli atti terroristici di Hamas. Questo è falso – è vero il contrario». Il protrarsi degli attacchi per le sue parole al Consiglio di sicurezza dell’Onu di martedì – «l’attacco di Hamas non è arrivato dal nulla» – hanno portato il Segretario generale a fare una breve dichiarazione in cui ribadisce di aver condannato «inequivocabilmente» Hamas. Va «messo in chiaro», soprattutto per «rispetto alle famiglie delle vittime». Ma, da parte del governo di Tel Aviv, il meccanismo per presentarlo come un sostenitore delle “ragioni” dell’organizzazione terroristica si è ormai messo in moto: dopo l’appello alle sue dimissioni l’ambasciatore israeliano all’Onu Gilad Erdan ha rincarato la dose in un intervento a una radio militare israeliana: «È giunta l’ora di dargli una lezione», ha detto rivolto a tutti i funzionari delle Nazioni unite ai quali ora, ha aggiunto, verranno negati i visti per entrare nel Paese. A partire dal capo degli Affari umanitari dell’Onu Martin Griffiths, che si è visto negare il visto proprio ieri.

IL MINISTRO degli Esteri Eli Cohen, dopo essersi rifiutato di incontrare Guterres martedì sera, avrebbe fatto anche pressioni su alcuni dei rappresentanti delle famiglie degli ostaggi e delle vittime presenti alle Nazione unite insieme alla delegazione israeliana affinché non accettassero di incontrarlo. Significativo però che Guterres abbia comunque incontrato alcuni di loro, che avrebbero opposto resistenza alle pressioni di Cohen.

Ancor più significativo che il rappresentante statunitense, il segretario di Stato Antony Blinken, non si sia tirato indietro dagli incontri previsti con lui. E a Guterres ieri è arrivata anche la solidarietà di diversi paesi europei, da quella più appassionata del premier spagnolo Pedro Sanchez – «vorrei offrire il pieno supporto del governo spagnolo al segretario generale», «penso parli per la maggioranza delle società globali che desiderano un pausa umanitaria, e che questa tragedia abbia fine» – alla tiepida posizione tedesca che solo attraverso un portavoce del governo ha «confermato la propria fiducia» nel Segretario generale. Pieno sostegno anche dal «suo» Portogallo, mentre il premier inglese Sunak ha detto di non essere «d’accordo» con «alcune» sue dichiarazioni. Dall’Italia lo attacca Salvini – «non ci sono giustificazioni al terrorismo» – mentre svicolano dalla polemica sia Meloni che Tajani.

Le spaccature dell’Europa si riflettono nella cancellazione, dalla bozza di conclusioni del vertice Ue che si terrà domani e dopo a Bruxelles, dello stesso nome del Segretario generale dell’Onu: dal riferimento al «sostegno all’appello del segretario generale per una pausa umanitaria» si è passati a una generica invocazione a una «pausa umanitaria» – anche questa terminologia divide: pausa, finestra? Di certo non circola l’espressione «cessate il fuoco» che pure la ministra degli Esteri francese Colonna aveva auspicato come fine ultimo dell’azione diplomatica al Consiglio di sicurezza di martedì.

DIVISIONI che hanno attraversato, com’era prevedibile, anche il voto del Consiglio di sicurezza – ieri sera, troppo tardi per noi – su due distinte bozze di risoluzione sul conflitto: una statunitense e una russa. Quella made in Usa ribadisce il diritto di Israele all’autodifesa ma sottolinea che il «movimento» delle persone all’interno di Gaza deve essere volontario, che vanno impiegate tutte le misure necessarie – come delle pause umanitarie – per consentire l’invio di aiuti e garantire l’accesso delle agenzie Onu che sorveglino sulla fornitura di cibo, acqua, elettricità e medicinali. La risoluzione russa parla invece di un «cessate il fuoco immediato e senza condizioni».

I MEMBRI permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite non riescono a raggiungere l’unanimità su una risoluzione che riguardi Israele dal gennaio del 2009, quando la risoluzione 1860 aveva chiesto un «cessate il fuoco» a Gaza e la fornitura di «assistenza umanitaria, fra cui cibo, carburante e forniture mediche».

* Fonte/autore: Giovanna Branca, il manifesto



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