Succede, invece, che l’ex capogruppo dei Verdi, Anton Hofreiter, soprannominato «Panzer-Toni» per via del suo appoggio incondizionato al campo atlantico ma pure per il carattere fumantino, smaschera il governo con il paragone che investe anzitutto il leader del suo partito: Robert Habeck, ministro dell’economia delegato alla concessione dei nulla-osta imprescindibili per l’export di qualunque sistema d’arma made in Germany.

«MENTRE continuiamo a negare all’Ucraina forniture importanti stiamo spedendo le nostre armi più moderne all’Arabia saudita, che è un’autocrazia. Il governo ripensi la decisione», è il ragionamento tutt’altro che pacifista di Hofreiter. Il riferimento corre ai 150 missili aria-aria Iris T destinati ai caccia Eurofighter forniti da Berlino a Riad nel pieno dell’escalation militare in Medio Oriente, mentre la memoria torna a quando il regime di Bin Salman era nella lista degli Stati canaglia che alimentavano la guerra in Yemen e di conseguenza sotto «embargo bellico per motivi umanitari».

All’epoca Spd, Verdi e liberali denunciavano senza se e senza ma il «conflitto dimenticato» che aveva riportato gli yemeniti al medioevo di fame ed epidemia di colera. Prima della generale indignazione per l’efferato omicidio di Jamal Khashoggi al consolato saudita di Istanbul: allora Angela Merkel aveva imposto a Spd e Cdu di tagliare con la mannaia le forniture per Bin Salman.

Tutto archiviato dalla nuova Realpolitik, al pari dell’accordo di programma che avrebbe dovuto limitare l’esportazione di armi tedesche ai soli paesi Nato e alle democrazie amiche. Superato nel nome del business miliardario senza limiti e confini, nella fattispecie a guadagnare sarà il colosso bellico Diehl Defense con sede nel Baden-Württemberg che produce gli Iris-T necessari agli Eurofighter sauditi per potenziare le capacità offensive.

I caccia sono stati forniti dal Regno unito dopo che il ministro Habeck ha sbloccato il via libera tedesco. Cosa c’entra la Germania con gli aerei di Londra? Negli Eurofighter inglesi è installata componentistica prodotta nella Bundesrepublik, è necessario che anche il cancelliere Scholz sia d’accordo con l’operazione.

Dopo la resistenza sull’export dei tank Leopard-2 costate alla Germania la crisi diplomatica con Usa, Polonia e Ucraina all’inizio dell’invasione russa, e il cambio al volo della ministra della difesa troppo pacifista, la coalizione Semaforo ha ceduto su tutta la linea. Nulla più osta a Berlino.

Parlano le armi, tace la diplomazia. Nel senso che la ministra degli esteri Annalena Baerbock (Verdi) può continuare a «dire» ciò che vuole ma non può più «fare» niente, almeno a sentire la Deutsche Welle, l’autorevole canale dell’informazione statale.

«LA POLITICA estera della Germania in Medio Oriente ha raggiunto il suo limite massimo ed è assai difficile che Berlino possa ottenere alcunché con l’aggravarsi della situazione». Non sono bastati i tre viaggi in successione nell’area della ministra Baerbock dal 7 ottobre: «È probabile che la Repubblica federale verrà presto coinvolta nella missione guidata dagli Stati uniti nel Mar Rosso per respingere gli attacchi degli Houthi», prevede la Dw.

Pronta a raccontare ai tedeschi lo stato dell’arte della crisi senza i fronzoli: «Il ruolo guida in Medio Oriente spetta agli Usa e non a noi o all’Unione europea e a Washington conta il costo politico: nella campagna elettorale americana non si vogliono turbare gli elettori ebrei né gli arabi».

La differenza fra Germania e Usa si misura invece con il “rimbalzo” a Berlino di ciò che pensano in Qatar: lo Stato-chiave che ha sostituito la Russia nella partnership strategica delle forniture energetiche. Al Jazeera riassume così il sostegno incondizionato a Israele di Baerbock: «Si tratta di una copertura per normalizzare l’arabofobia e giustificare politiche anti-immigrazione sempre più draconiane».

* Fonte/autore: Sebastiano Canetta, il manifesto