Mercoledì mattina, a sostenerla, si era presentato anche l’attivista e politico, reverendo Jesse Jackson, mentre molti gruppi ebraici hanno chiesto al consiglio di votare no, sostenendo che stesse dedicando tempo ed energie alla guerra tra Israele e Hamas su cui non ha alcun potere mentre ci sono tanti altri problemi, come la criminalità, che vengono tralasciati. «Questo voto è simbolico – ha dichiarato Hatem Abu Dayyeh, parte della Coalizione di Chicago per la Giustizia in Palestina – ma spinge altre persone in altre città a lavorare su risoluzioni per il cessate il fuoco. Quando questo movimento sarà presente in tutto il paese, allora le potenze che sono a Washington dovranno ascoltare. Oggi diciamo sì al cessate il fuoco, sì alla risoluzione, sì al cambiamento qui a Chicago e in tutto il mondo».

NEGLI STATI UNITI le manifestazioni per la fine della guerra continuano ad aumentare (l’ultima ieri a Washington ha paralizzato un pezzo di città) e i gruppi di attivisti stanno portando la loro battaglia dentro i municipi, dove in alcuni casi l’argomento sta offuscando le priorità locali. Da ottobre a Cleveland, Ohio, gli incontri settimanali del consiglio comunale con il pubblico è dominato dai discorsi su Gaza. Circa settanta consigli comunali in tutto il paese hanno approvato risoluzioni sul cessate il fuoco, che vanno dalla condanna di entrambe le parti in guerra, alla richiesta di porre fine agli aiuti militari statunitensi a Israele. Da settimane, in una serie di città a guida democratica, gli americani affollano le aule comunali per maratone di sessioni per chiedere un’azione immediata da parte dei leader locali su una questione lontana dai loro problemi immediati. A novembre il consiglio comunale di Detroit, in Michigan, stato che ospita la più grande comunità palestinese negli Usa, ha votato 7-2 per approvare la richiesta di un cessate il fuoco a Gaza, unendosi ad Atlanta, Akron, Wilmington, Providence, Minneapoli, Richmond e Seattle, dove il dibattito sta monopolizzando gran parte delle riunioni comunali. A San Francisco, sotto la cupola del municipio, le persone restano in fila tutta la notte per intervenire. Il consiglio comunale di Oakland ha dedicato più volte almeno quattro ore solo ai commenti del pubblico.

È DI IERI, invece, la decisione della corte distrettuale di Oakland (California) in merito alla denuncia presentata da diverse associazioni statunitensi e palestinesi e dai familiari di alcune delle vittime gazawi dell’offensiva israeliana: chiedevano al tribunale di ordinare all’amministrazione Biden di agire «per impedire il genocidio del popolo palestinese a Gaza». Il giudice Jeffrey White ha detto di non aver giurisdizione sul caso («la più difficile decisione giuridica della mia vita»), ma ha espresso una durissima condanna della Casa bianca, definendo le azioni israeliane nella Striscia un «genocidio «plausibile e «implorando» il presidente Biden di «esaminare i risultati dell’instancabile sostegno all’assedio militare contro i palestinesi di Gaza».

Intanto a Washington il Dipartimento di Stato ha minimizzato l’importanza della decisione di sospendere i finanziamenti all’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, Unrwa. I gruppi per i diritti umani e i democratici progressisti al Congresso hanno denunciato la mossa, affermando che priverà i palestinesi di aiuti disperatamente necessari, ma il Dipartimento di Stato ha risposto dicendo di aver inviato all’agenzia 300mila dollari dei circa 121 milioni stanziati.

* Fonte/autore: Marina Catucci, il manifesto