Stavolta non è stata la disinformazia del regime di Putin sempre attiva, a lasciare esterefatti sono invece le parole del presidente francese Macron che alla conferenza stampa conclusiva del “suo” vertice sull’Ucraina – quasi una ripicca di leadership su quello del G7 di investitura di Meloni a Kiev – che serenamente affermato: «Non si può escludere l’invio di truppe occidentali in Ucraina», rendendo noto che di quello, in un dibattito «acceso» si è discusso a Parigi tra i governi europei, con divisioni e accenti diversi – la punta di diamante sono i Paesi baltici favorevoli oltre a Kiev che plaude: «Siamo sulla strada giusta». Era ora che qualcuno strappasse il velo di omertà che circonda la risposta atlantista e bellica dell’Unione europea sulla guerra in Ucraina.

Qualcuno come Macron che così facendo reitera la storia e il ruolo francese, forte della force de frappe ma dimentico del disastro libico provocato solo 13 anni fa con tutte le ripercussione africane che sta subendo. Parole di lucida follia suicida, di vero «senso del futuro», non solo per la risposta immediata di Mosca: ai leader europei «non conviene», il conflitto tra Russia e Nato sarà «inevitabile»; ma peggio ancora per la precisazione che Macron ha voluto fare, una vera chiamata di correo per non essere nel «ritardo sovente di 6-12 mesi»: «Molti che oggi dicono mai, mai, sono gli stessi che dicevano mai tank, mai aerei, mai missili di lunga gittata due anni fa”.

Come a dire: portiamoci avanti, per due anni abbiamo inviato le armi più sofisticate, miliardi e miliardi di fondi, operazioni d’intelligence – che dire delle 12 basi della Cia presenti sulla frontiera russo-ucraina dal 2014 rivela il New York Times -, addestramento, in arrivo nuovi fiammanti cacciabombardieri e quant’altro e dopo offensive e controffensive fallite, l’unica soluzione che resta ormai è l’intervento diretto, mettere gli scarponi a terra. A questo esito prevedibile ha portato la “strategia” dell’invio di armi che ha provocato più vittime e più odio: alla co-belligeranza contro la Russia. Ed è proprio così, i re della guerra sono nudi.

Sorprendono le reazioni a questa che non è una boutade ma un cambio di passo – sul baratro – proposto all’intero schieramento occidentale. Le prime prese di posizioni infatti, com’era prevedibile, hanno insistito tutte a rasserenarci perché ogni governo occidentale di corsa, con una fretta sospetta, ha respinto almeno formalmente al mittente la proposta rivelatrice.

Così hanno fatto Cameron, Scholz, l’Italia, la stessa Nato e dall’altra parte dell’Atlantico subito la Casa bianca: «Non ci saranno truppe occidentali in Ucraina, su questo c’è una grande unanimità». Sotteso però c’è il «per ora», come si evince dal comunicato di Stoltenberg: «Questa eventualità sarà presa in considerazione solo quando l’Ucraina sarà membro della Nato». E qui siamo al paradosso che mentre Stoltenberg, von der Leyen e Meloni insistono perché l’Ucraina entri nella Nato, Biden, che trova difficoltà nel Congresso ad inviare nuove armi, ha più volte risposto: «No, perché vuol dire entrare in guerra con la Russia».

A chiarire il seguito vero che hanno le parole di Macron ecco quelle di ieri di Ursula von der Leyen all’Europarlamento: una guerra in Europa «non è impossibile», gli Stati devono capire che «la pace non è permanente» e per questo l’Ue deve investire maggiormente in armi nei prossimi cinque anni, «dando priorità agli appalti congiunti nel settore della Difesa. Proprio come abbiamo fatto con vaccini o con il gas naturale».

Dunque riconvertiamo le spese sociali, già scarse, e prepariamoci alla epidemia benefica e «non impossibile» della guerra generale. Magari green e sostenibile?
Così quel che ci ostiniamo a chiamare per il conflitto ucraino il «limite ignoto», ahimé diventa sempre più noto: siamo sul fronte di una non impossibile deflagrazione atomica, visto il nemico. Restando impronunciabile la parola trattativa per un cessate il fuoco, con una sospensione della guerra per trovare aperture su Donbass, Crimea, neutralità ucraina, com’è stato per 8 anni -con gli accordi di Minsk, e permanendo la depressione di ogni intervento di pace – non solo da parte di Putin, si pensi allo sfottò delle cancellerie occidentali per i tentativi dell’inviato del papa Zuppi e del segretario Onu Guterres, per non dire dei pacifisti.

Ora l’Europa, non inconsapevolmente, sembra fare lo stesso gioco guerrafondaio dell’aggressione di Putin: à la guerre comme à la guerre. Del resto questa è la tendenza anche per il Medio Oriente dove gloriosamente parte una missione navale europea a guida italiana contro gli Houthi senza vedere che questa nuova crisi deriva direttamente dal massacro in corso a Gaza che gli Usa con il loro veto non vogliono fermare.

Eppure basterebbe capire che il conflitto ucraino non dà dividendi, con la maggior parte dell’opinione pubblica europea contraria all’impegno in ogni modo nel conflitto – e quella dell’est in rivolta, vedi le sorti del grano ucraino -, con la stanchezza degli stessi combattenti ucraini mandati al macello con quelli russi; basterebbe guardare quel che accade negli Stati uniti, con Biden che rischia per l’«effetto Gaza» di perdere il consenso democratico per le presidenziali. Basterebbe guardare in faccia la verità sotto i nostri occhi, che le prossime elezioni europee, se ci arriveremo, avranno questo tema decisivo all’ordine del giorno. E sarà così esplosivo da scompaginare ogni schieramento, in primo luogo la destra ma anche ogni sedicente sinistra.

* Fonte/autore: Tommaso Di Francesco, il manifesto