Al termine dell’inchiesta ordinata dal capo di stato maggiore Herzi Halevi, l’Esercito ieri ha rimosso dall’incarico i due alti ufficiali e ha rimproverato formalmente diversi altri coinvolti nel raid mortale al convoglio della Wck. L’attacco in tre fasi con il drone è stato ordinato, spiega l’inchiesta, perché il centro di comando sospettava la presenza di un combattente di Hamas in una delle auto della Ong. E sebbene si trattasse solo di un sospetto, gli ufficiali responsabili hanno ordinato di aprire il fuoco su tutte e tre le auto dell’organizzazione umanitaria. I risultati sono stati presentati subito alla Wck e agli ambasciatori dei paesi a cui appartenevano i sei operatori stranieri uccisi nell’attacco. «Il problema non è chi commette gli errori. È la strategia militare e le procedure in atto che consentono a questi errori di moltiplicarsi», ha commentato da New York il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres.

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Le Nazioni unite continuano a tenere sotto pressione Israele per la sua offensiva a Gaza. Il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu ha adottato una risoluzione, non vincolante, che chiede che Israele sia ritenuto responsabile di eventuali crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi a Gaza e, punto rilevante, chiede che sia fermata la vendita di armi a Israele.

Ventotto paesi hanno votato a favore, 13 si sono astenuti e sei contro. Prima del voto i Paesi europei si sono spaccati. Germania e Bulgaria hanno annunciato che avrebbero votato contro perché la risoluzione non punta esplicitamente il dito contro Hamas anche se condanna il lancio di razzi da Gaza e chiede il rilascio degli ostaggi israeliani. Tel Aviv da parte sua parla di «una risoluzione anti-israeliana» che «non menziona Hamas nè i suoi crimini del 7 ottobre», le forniture di armi iraniane al movimento islamico e andrebbe contro «il diritto di Israele di difendersi».

Dopo il colloquio telefonico nella notte di giovedì tra Joe Biden e il premier israeliano Netanyahu, nel quale il presidente Usa avrebbe affermato perentorio che la politica di Washington a Gaza sarà determinata da ciò che lo Stato ebraico farà per alleviare concretamente la crisi umanitaria scatenata dalla sua offensiva militare, il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato alcune misure come la riapertura del valico di Erez a nord della Striscia e l’uso del porto di Ashdod per gli aiuti alla popolazione palestinese.

Il valico di Keren Shalom inoltre sarà disponibile per i generi di prima necessità provenienti dalla Giordania che così non dovranno più passare per l’Egitto. Decisioni che dovrebbero permettere un maggiore accesso degli aiuti al nord di Gaza, la parte più colpita dai bombardamenti e in cui manca tutto. Sviluppi positivi secondo il Segretario di stato Blinken che però dice di attendere la verifica sul terreno delle misure adottate da Netanyahu. In ogni caso, gli esperti internazionali avvertono che senza l’apertura di tutti i valichi e la fine di ogni restrizione all’ingresso degli aiuti, non sarà possibile evitare la carestia che il Pam ha previsto a Gaza per il mese prossimo.

Ciò che servirebbe più di ogni altra cosa per salvare vite umane, la tregua immediata e totale, però resta lontana. E gli Stati uniti, che a parole si preoccupano dei civili palestinesi, ieri hanno ribadito che «il cessate il fuoco a Gaza resta subordinato al rilascio degli ostaggi israeliani». L’offensiva israeliana, perciò, va avanti con il consenso statunitense. Anche ieri raid aerei e cannonate hanno fatto morti e feriti. Le conseguenze della guerra si faranno sentire per anni a Gaza e non solo dal punto di vista umanitario.

Per rimuovere dalla Striscia gli ordigni inesplosi serviranno almeno 45 milioni di dollari, avverte il capo del Servizio di azione contro le mine (Unmas) in Palestina, Charles Birch. «L’enorme quantità di bombe sganciate dal 7 ottobre significa che ci vorranno milioni di dollari e molti anni per bonificare Gaza» ha previsto in una intervista. In Cisgiordania durante un’incursione dell’esercito nel campo profughi di Nur Shams (Tulkarem) è stato ucciso un giovane palestinese.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto