Quei danni collaterali

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Altri ribelli ritengono però la Nato responsabile di aver fatto delle vittime civili tra Brega e Ajdabiya. La Nato, ovviamente, sta indagando. Ma è bene che lo faccia seriamente ed esaminando i parametri giusti perché nessuno sopporterebbe più un portavoce come Jamie Shea che chiamava in causa i cosiddetti danni collaterali ogni volta che gli aerei della Nato facevano vittime civili in Serbia e Kosovo. Per definizione il danno è collaterale quando non è intenzionale ed è inevitabile per conseguire uno scopo molto più importante del danno stesso. Se il danno è la perdita di civili innocenti lo scopo dell’azione dev’essere vitale. Ma non è uno sbaglio. Quando chi spara ha la superiorità , la sicurezza di non essere colpito, la precisione e la potenza ogni vittima civile può non essere intenzionale soltanto per difetto d’informazione o per un guasto tecnico, ma non per sbaglio: il pilota centra esattamente il bersaglio che gli è stato assegnato o che in quel momento ritiene ostile. Il suo fuoco non è mai amico. L’eventualità  di colpire innocenti o civili durante un attacco contro combattenti irregolari come sono sia quelli di Gheddafi sia quelli dei ribelli è sempre prevista, come quella di dover sacrificare scudi umani o di essere indotti alla reazione da infiltrati provocatori. La scelta di colpire o non colpire è sempre deliberata e fa parte della responsabilità  del comando in guerra. Il danno che ne deriva è intenzionale e di estrema gravità  sul piano umano, legale e politico. La Nato perciò deve solo accertare se le informazioni erano sufficienti, le regole d’ingaggio appropriate, gli apparecchi efficienti e i piloti sani di mente. In caso affermativo deve soltanto chiedersi se il suo scopo è vitale e se è questa la guerra che vuole combattere.


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