Afghanistan, vietato dissentire

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“Gli agenti dell’intelligence afgana ultimamente sono dappertutto perché ci sono voci che una protesta simile a quelle dei paesi arabi potrebbe essere organizzata in Afghanistan, anche presto, probabilmente entro fine aprile. Noi non crediamo che accadrà , ma gli ufficiali governativi hanno questa convinzione e associazioni come la nostra e Hambastagi sono sospettate di essere parte dell’organizzazione e quindi sottoposte a maggiore sorveglianza”.

Potrebbe essere spiegata con questa dichiarazione giunta al Cisda, il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afgane, la serie di atti intimidatori messa in atto nell’ultimo mese dalla polizia afghana ai danni di una serie di associazioni e attivisti afghani che operano a favore dei diritti umani. La denuncia è giunta proprio da uno dei maggiori movimenti democratici afgani impegnato nella lotta per l’emancipazione femminile, le cui sostenitrici sono costrette a una vita in clandestinità  a causa dei loro aperti attacchi nei confronti del governo Karzai, definito un governo fantoccio imposto dagli Usa, corrotto fino al midollo e presieduto dai signori della guerra.

Ma quello che sembra avere infastidito maggiormente le forze governative è stata la manifestazione contro organizzata lo scorso 6 marzo a Kabul dal partito Hambastagi, l’unico partito democratico laico e antifondamentalista d’Afghanistan, che aveva raccolto nella capitale centinaia di militanti, soprattutto donne, al grido di “Morte all’America! Morte ai talebani!” e che erano state riprese dalle telecamere delle agenzie di stampa internazionali. La protesta era indirizzata in particolare contro la ventilata istituzione di basi permamenti americane in Afghanistan, attaccava il governo Karzai reo di “legittimare la colonizzazione del Paese” e inneggiava alla protesta dei paesi arabi percepita non solo come sollevazione contro l’autoritarismo dei dittatori, ma anche contro le basi americane nei loro territori e l’influenza israeliana nella regione.

Il corteo, al quale aveva partecipato una delegazione del Cisda presente a Kabul per le celebrazioni della festa della donna, si era svolto in maniera pacifica, senza tensioni né interventi da parte della polizia. Così pure l’8 marzo, organizzato quest’anno da Opawc, associazione che si occupa di formazione e alfabetizzazione al femminile, cui aveva partecipato anche il portavoce di Hambastagi, Said Mahmoud, era stato un momento di denuncia forte nei confronti della violenza quotidiana subita dalle donne, ma anche di festa, senza problemi.

A distanza di qualche giorno, però, Said e altri quattro attivisti del partito sono stati arrestati, con l’accusa di aver imbrattato di rosso (così come avvenuto durante le elezioni per denunciare il sangue dei delitti di cui molti candidati al parlamento si sarebbero macchiati) il ritratto di Mazari, signore della guerra hazara, il cui partito Wahdat, fazione dell’alleanza del nord, vanta numerosi rappresentanti in parlamento. I ragazzi sono stati rilasciati dopo alcuni giorni dietro il pagamento di una cauzione, ma il procedimento rimane aperto perché il caso è stato definito “politico” e su di loro pesa l’accusa di alto tradimento della patria che in Afghanistan prevede pene molto pesanti.

Nei giorni successivi all’arresto dei militanti di Hambastagi, si è poi verificata una serie di attacchi da parte del governo nei confronti di Opawc: sono giunte intimidazioni nei confronti di alcune esponenti per le celebrazioni dell’8 marzo, definite troppo politicizzate, e Malalai Joya, che dell’associazione fu la fondatrice, si è vista rifiutare il visto per l’ingresso negli Usa dove si è già  recata più volte. C’è poi stata un’irruzione degli agenti dei servizi segreti (Nds) nell’orfanotrofio Mehan e negli uffici di Afceco (Afghan Child Education and Care Organization) e sono stati lanciati attacchi diffamatori su Hawca, ong afgana che gestisce alcuni ‘rifugi’ per le donne vittime di violenza.


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