Medio Oriente. Israele spiazzato dal dialogo tra Siria, Iran e sauditi

Medio Oriente. Israele spiazzato dal dialogo tra Siria, Iran e sauditi

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Sui giornali arabi da due giorni quasi non si parla d’altro, dopo le rivelazioni fatte dal sito Raialyoum e riprese dal Guardian sull’incontro avvenuto a inizio settimana a Damasco tra il capo dell’intelligence saudita, Khalid Humaidan, e il suo omologo siriano Ali Mamlouk. Colloqui preliminari, le due parti dovrebbero rivedersi dopo l’Eid al Fitr, la festa che chiude il mese di Ramadan. Ma è evidente che Riyadh è decisa a riprendere le relazioni diplomatiche con la Siria e non si opporrà più al suo rientro nella Lega araba. Notizie che fanno seguito ai contatti avvenuti a Baghdad tra le intelligence saudita e iraniana. E passate in secondo piano malgrado rappresentino una svolta per le relazioni tra questi paesi da anni impegnati in guerra per procura attraverso i loro alleati nei vari teatri di crisi. Non è un’esagerazione parlare di fallimento, almeno parziale, dell’Accordo di Abramo. Se Benyamin Netanyahu raggiungendo, grazie all’alleato Donald Trump, intese con quattro paesi arabi riteneva di aver dato vita un fronte unito e in espansione, sotto la sua leadership, da opporre all’Iran, ora fa i conti con i riflessi nella regione dell’approccio moderato scelto dall’Amministrazione Biden alle relazioni tra Washington e Tehran.

Ai sauditi e alle altre monarchie sunnite del Golfo non è sfuggito l’impegno profuso dal governo israeliano per persuadere Joe Biden a non riallacciare i rapporti con l’Iran e mantenere in piedi le circa 1600 sanzioni, di varia natura, varate dalla passata Amministrazione Usa. Sforzi senza risultati perché la Casa Bianca non rinuncia a rianimare il Jcpoa, l’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano, soffocato da Trump nel 2018. A poco sono servite le missioni a Washington dei vertici militari e dell’intelligence di Israele. «Occorre riconoscerlo, l’Iran con la sua ‘pazienza strategica’ ha avuto la meglio sulla politica delle pressioni al massimo livello degli Usa» spiega l’analista Uraib Al Rintawi «e l’accordo che prende forma sui tavoli della diplomazia soddisfa le richieste e le condizioni di Tehran. Washington revocherà le sanzioni nei settori economici più critici: il petrolifero ed energetico, quello industriale e il bancario. Verranno liberati circa cento miliardi di dollari congelati per anni, a condizione che Tehran torni a rispettare i suoi impegni». Netanyahu, aggiunge Al Rintawi, insiste nel presentarsi come leader di un paese in grado di «riempire il vuoto lasciato da Washington (nella regione) ma anche gli arabi più entusiasti della normalizzare con Israele iniziano a rendersi conto che questa carta sta perdendo valore e che il dialogo con l’Iran è la via più breve per proteggere la loro sicurezza e stabilità».

Che la direzione sia quella descritta da Al Rintawi lo conferma indirettamente il megafono più importante della monarchia saudita, il giornale Al Sharq al Awsat. L’editorialista Bakr Oweida, dopo aver ritualmente esaltato re Salman e suo figlio ed erede al trono Mohammed, scriveva due giorni fa che «la situazione è cambiata e che la stagnazione è incompatibile con le leggi della vita». Riyadh, ha spiegato, «non tende la mano da una posizione di debolezza nei confronti di Teheran ma per il desiderio di promuovere gli interessi di entrambi i paesi…lontano dalle aspirazioni egoistiche in patria o all’estero che possono impedire alle generazioni future delle due parti di godere di una vita migliore». Parole, queste ultime, che qualcuno vuole riferite proprio a Israele che ripete di essere pronto a tutto, anche a distruggere le centrali atomiche iraniane che considera pericolose per la sua sicurezza.

* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto



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