Marocco, controllo dei media e diritti umani calpestati

Marocco, controllo dei media e diritti umani calpestati

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Dietro le quinte del “Maroccogate” anche le tecniche repressive utilizzate da Rabat per liberarsi di attivisti e giornalisti. La denuncia di Human Rights Watch

 

La vicenda dei rapporti tra Antonio Panzeri e i servizi segreti marocchini ha messo in evidenza alcune tecniche e procedure utilizzate dalla Direction Générale des Études et de la Documentation (Dged – servizi di sicurezza per l’estero) di Rabat per «un’azione persuasiva» e il «controllo» di alcuni eurodeputati intercettati con l’utilizzo dello spyware israeliano Pegasus.

CONTROLLO CHE SERVIVA come possibile strumento di «corruzione o ricatto», come riferito dalla procura di Bruxelles, riguardo ai corposi accordi economici tra Unione europea e Marocco, alla legittimazione dello sfruttamento delle risorse e dell’occupazione di un territorio «non autonomo» come il Sahara occidentale e ad eventuali pressioni per far apparire il paese una «democrazia dove è presente il pieno rispetto dei diritti umani».

QUESTO ERA IL REALE OBIETTIVO delle dichiarazioni, con azioni di lobbying e forti pressioni, di politici come Panzeri, il suo assistente Francesco Giorgi o l’eurodeputato francese Gilles Pargneaux – presidente del gruppo di amicizia Ue-Marocco – che in tutte le votazioni delle diverse commissioni etichettavano il Marocco come uno dei paesi «più democratici dell’area». Parole che, oggi, si scontrano con la realtà di questi ultimi anni.

Ha dato non poco fastidio, con una dura smentita da parte di Rabat, la pubblicazione a inizio agosto da parte dell’ong Human Rights Watch (Hrw) di un’indagine di 140 pagine con un report dettagliato che mette in luce «vizi procedurali e vere e proprie tecniche di repressione» per «screditare diversi giornalisti e oppositori marocchini con condanne per reati comuni, in particolare crimini sessuali».

Nel suo report Hrw indica questi casi come «attacchi politici mascherati», che hanno visto il loro boom nel 2021, dove «le incarcerazioni hanno battuto qualsiasi record». Versione confermata anche dall’Associazione marocchina per i diritti umani (Amdh) che indica il 2021 come un anno di «repressione senza precedenti in Marocco», in termini di libertà di espressione: con 170 giornalisti e attivisti, tra cui molti saharawi, arrestati o perseguiti e più di 140 manifestazioni vietate con il pretesto dello «stato di emergenza sanitaria».

QUESTE TECNICHE «formano un sistema di repressione lungo 10 anni volto non solo a mettere a tacere le voci critiche, ma anche a spaventare tutti i potenziali detrattori dello stato marocchino», osserva l’organizzazione per i diritti umani con sede a New York.
Esistono molte tecniche per mettere a tacere l’opposizione, come spiega Ahmed Benchemsi, direttore delle comunicazioni per il Nord Africa di Hrw : «Accuse costruite ad arte dai servizi di sicurezza, confessioni ottenute sotto minaccia, sorveglianza digitale, video intimi trasmessi ai familiari, fino ad arrivare a veri e propri agguati in strada».

TRA I CASI PIÙ NOTI: quelli di Omar Radi – premiato la settimana scorsa con il “Premio dell’Indipendenza” da Reporters Sans Frontières (Rsf) – e Soulaimane Raissouni. Due giornalisti indipendenti condannati in appello nel 2022 rispettivamente a sei anni e cinque anni di reclusione per «violenza sessuale» e, nel caso di Radi, anche di «spionaggio». La loro vera colpa, al contrario, sarebbe quella di aver condotto indagini «contro la corruzione da parte del governo o per aver difeso manifestanti che protestavano per i loro diritti nella valle del Rif», afferma il report.

IL RAPPORTO DI HRW denuncia, inoltre, le «feroci campagne diffamatorie» portate avanti dai media «allineati ai servizi di sicurezza marocchini», citando i siti ChoufTv – specializzato in video e articoli scandalosi -, Le360 e Barlaman. Campagne che sono raddoppiate a causa anche della sorveglianza digitale e video, in particolare grazie all’utilizzo dello spyware Pegasus, progettato dalla società israeliana Nso.

«Ciò che rende unico questo rapporto è che ci sono tutte le prove – spiega Benchemsi – che il Marocco abbia utilizzato questi metodi subdoli per riuscire a mettere a tacere l’opposizione, pur continuando a beneficiare dell’immagine di un paese moderato e liberale».

* Fonte/autore: Stefano Mauro, il manifesto



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