Italia, cluster bomb al bando

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Anche l’Italia ha ratificato finalmente la Convenzione di Oslo sulle cluster bomb, che vieta l’uso, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento delle munizioni a grappolo. Essa prevede inoltre l’assistenza alle vittime, la bonifica delle aree contaminate e la distruzione delle scorte. La richiesta di ratifica, come d’uso, è stata avanzata dal Governo, nonché da alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare. L’approvazione definitiva del disegno di legge da parte della Camera dei deputati è avvenuta il 18 maggio scorso.

Le bombe a grappolo sono armi di grandi dimensioni, sganciate da aerei o esplose da sistemi di artiglieria, che rilasciano ordigni più piccoli. Questi si disperdono sul terreno in aree molto vaste, possono rimanere inesplosi per anni, e costituire un pericolo per la popolazione civile, soprattutto i bambini.

Il processo di Oslo si è aperto nel 2007, e ha portato all’adozione della Convenzione – a livello internazionale – nel maggio 2008. Nel dicembre dello stesso anno, il testo è stato aperto alle ratifiche dei singoli Paesi. La Convenzione è entrata così in vigore nell’agosto del 2010, dopo che trenta Paesi hanno scelto di sottoscriverla. Assente l’Italia, che pur avendo aderito all’accordo, l’ha sottoposto al voto parlamentare solo due giorni fa. Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele e Pakistan non hanno mai partecipato agli incontri per la stesura del testo, e hanno scelto di non aderirvi.

La Convenzione di Oslo rappresenta il più importante Trattato sul disarmo dopo la Convenzione per la messa al bando delle mine antiuomo (Ottawa, 1997), e costituisce un fondamentale accordo umanitario. Nonostante questo, il processo che ha portato alla sua realizzazione ha dovuto scontrarsi con l’opposizione dei maggiori produttori di cluster, decisi a boicottarlo. Contro di loro si è mosso un cartello di 300 Ong, che per cinque anni ha lavorato per negoziare un trattato vincolante che vietasse l’utilizzo delle bombe a grappolo. In Italia, appelli in questo senso sono arrivati anche dal Vaticano, con un discorso di Benedetto XVI che chiedeva l’abolizione di quest’arma micidiale.

“Il processo di ratifica – ha spiegato in passato a PeaceReporter Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine – è un processo abbastanza lungo, che avviene per iniziativa governativa. Al suo interno sono coinvolti anche alcuni ministeri, nello specifico quello degli Esteri e quello della Difesa, che devono dare pareri. Poi ci sono implicazioni di carattere non esclusivamente politico. Anzi, la volontà  politica del nostro Paese è stata unanime. Sono problemi di carattere finanziario. Per gli adempimenti contenuti nella Convenzione, per esempio quello di distruggere i propri arsenali di cluster, sono necessari stanziamenti di bilancio che ritardano ulteriormente i tempi di ratifica”. E questo spiegherebbe gli anni intercorsi tra l’adesione al trattato e la sua definitiva approvazione in Parlamento.

Secondo un rapporto dell’associazione Handicap International, sarebbero circa 100 milioni le bombe a grappolo rimaste inesplose nel mondo delle oltre 440 milioni utilizzate dal 1965. Dal 1991 tali ordigni sono stati utilizzati nei principali conflitti: Iraq, Kuwait, Bosnia, Cecenia, Croazia, Sudan, Sierra Leone, Etiopia, Eritrea, Albania, Kosovo, Afghanistan, Ossezia del sud.


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