Betty Ford, la first lady che sconfisse il tabù dell’alcol in America

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E la seconda a trent’anni, con un avvocato 35enne, timido, dallo sguardo fisso e non proprio carismatico, ma che sarebbe diventato il trentottesimo presidente degli Stati Uniti. «Sono una donna normale che è stata presa in ostaggio in un’epoca eccezionale» .
Il prologo della sua autobiografia potrebbe essere tranquillamente il suo epitaffio. In morte di Elizabeth Bloomer, per 300 milioni di americani la signora Betty Ford, una delle donne più rispettate negli ultimi quarant’anni. E anche oggi: gli Stati Uniti sono in lutto nazionale (valanghe di messaggi, a cominciare da quello di Barack Obama). Betty aveva 93 anni ed è morta semplicemente di vecchiaia all’Eisenhower Medical Center di Palm Springs in California. E in fondo anche questa è stata l’ultima sorpresa di una donna «troppo magra» , come le faceva notare il marito Gerald Ford (e lei ricambiava facendogli trovare uno scheletro di plastica sul divano). Fragile: a 47 anni, con quattro figli adolescenti e con Gerald già  tra gli emergenti del partito repubblicano, il medico le prescrive degli anti dolorifici per alleviare gli attacchi di cervicale. Betty è depressa. Anni dopo racconterà  al suo biografo, Chris Chase: «Ho vissuto un periodo che penso capiti a molte donne. I loro mariti hanno lavori affascinanti, i figli stanno diventando indipendenti, adulti. E le mogli, le madri cominciano a sentirsi inutili, svuotate» . Pillole, psicofarmaci e poi la bottiglia, whisky, gin, quello che capitava a tiro. Mentre Gerald Ford scollinava tra le alte cariche politiche, lei sprofondava sempre più giù. Forte: il 28 settembre del 1974 la signora Ford si sottopone a un intervento di mastectomia radicale. Le viene asportato il seno destro, devastato da un tumore. Da due mesi è diventata la «first lady» del Paese. Gerald Ford, dalla posizione di vice presidente, era appena subentrato a Richard Nixon, travolto dallo scandalo Watergate (spionaggio degli avversari politici).
 All’inizio la nuova coppia presidenziale sembra quasi una caricatura. Sono tempi di ferro. Gli Stati Uniti sono in guerra nel Vietnam, il Paese raggiunge forse il picco storico di impopolarità  nel mondo, la gioventù americana è lacerata: c’è chi strappa la lettera di coscrizione e chi corre ad arruolarsi nei marines.
È l’epoca ritratta (pochi anni dopo), dal «Cacciatore» di Michael Cimino o da «Taxi driver» di Martin Scorsese. E chi governa il Paese? Uno dei presidenti più incolori, con al fianco un’ex alcolista. Ma, non era proprio così. Almeno per quello che riguarda la signora Ford. Nella suite dell’ospedale Betty riceve 10 mila lettere, 500 telefonate, 200 telegrammi e centinaia di mazzi di fiori in pochi giorni. Esplosiva. Quando lascia la clinica Betty non è ancora fuori pericolo, ma torna alla Casa Bianca e si presenta agli Stati Uniti per quello che è. Nei mille ricevimenti pubblici dà  un po’ di colore all’esangue marito, balla fino a tardi, riprende in mano le sigarette e comincia a spargere i mozziconi nei pretenziosi vasetti disseminati da Pat Nixon nei salottini della residenza presidenziale. E parla. In modo diretto, spiazzante. In tv dichiara che «sarebbe veramente sorpresa» se sua figlia Susan «non avesse ancora avuto dei rapporti sessuali prima del matrimonio » . Si spende in favore dell’aborto e della costituzionalizzazione dell’emendamento sull’eguaglianza dei diritti tra uomo e donna. Nel 1976 riceve la telefonata più bella dal medico di fiducia: «Betty, stai tranquilla, il cancro è sparito» . Intanto il mite e frastornato marito riesce a perdere le elezioni persino contro Jimmy Carter. «Mi hai fatto scappare 20 milioni di voti con le tue uscite» , le diceva scherzando (ma non troppo) Gerald Ford. Betty, però, lo aveva avvisato: prendi le distanze da Nixon, dai qualche segnale di cambiamento sulla guerra, promuovi una donna alla Corte Suprema. Non accadde nulla di tutto questo. Ma la sera dei risultati, fu la «first lady» a leggere la dichiarazione ufficiale per riconoscere la sconfitta. Moderna.
Fuori dalla Casa Bianca Betty si dedica al progetto di un centro contro l’alcolismo e altre forme di dipendenza. Convince l’industriale Leonard K. Firestone a mettere i soldi (e a trovarne altri). Nasce così il «Betty Ford Center» , un’istituzione considerata ancora oggi innovativa, basata su un approccio «integrato» (cioè medico e psicologico) alle debolezze umane. Un bel posto, l’ultimo che Betty ha visto dalla sua finestra dell’ospedale, a 11 miglia da Palm Springs.


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