Il Pakistan nel vortice del clima

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È il secondo anno consecutivo che il monsone porta alluvioni e miseria umana in Pakistan: nell’estate 2010 le piogge sulla parte settentrionale hanno provocato straripamenti e inondazioni nell’intero bacino del fiume Indo che taglia il paese da nord a sud: un terzo dell’intero territorio nazionale era andato sottacqua e il diluvio ha fatto circa 2000 morti con ripercussioni dirette su 20 milioni di persone. Tra le due stagioni d’acqua però c’è stato un anno di siccità : non una goccia di pioggia.
Ma non è solo la natura. Il Pakistan è un’altra vittima del cambiamento globale del clima. Lo schema dei monsoni nella parte settentrionale del subcontinente indiano sta chiaramente cambiando. «Il Pakistan deve aspettarsi un aumento nell’intensità  e nella frequenza di eventi climatici estremi, tra cui frequenti alluvioni e siccità . Abbiamo bisogno di un piano per adattarci a queste condizioni», diceva giorni fa Qamar-uz Zaman Chaudhry, meteorologo, consigliere del governo pakistano per la politica del clima e vicepresidente dell’Organizzazione meteorologica mondiale, intervistato dal magazine pakistano The Friday Times. I fatti sono chiari. In agosto il Pakistan meridionale ha ricevuto piogge del 270 percento superiori alla media e in settembre del 1.170 percento superiori alla media. Circa 6 milioni di acri di terre sono stati allagati, 20 dei 22 dipartimenti della provincia disastrati. Il bilancio è ancora da fare – coltivazioni spazzate via, raccolti persi, case crollate: le organizzazioni umanitarie stimano che oltre 1 milione e mezzo di persone sia ora accampato in ripari di fortuna, l’ente nazionale per i disastri dice che l’80% dei raccolti di banana, canna da zucchero e cotone è andato distrutto. E l’impatto dell’alluvione è tanto più grave perché si somma a quello dell’estate precedente – 800 mila famiglie erano ancora senza tetto da allora.
Ora la stampa pakistana accusa l’impreparazione delle autorità  di governo – eppure il diluvio di un anno fa doveva suggerire alcune misure preventive. Il dottor Chaudry, in quell’intervista al magazine pakistano, dice che l’effetto del cambiamento del clima è una minaccia ben più temibile del terrorismo: ma il governo, accusa lo scienziato, non ha davvero messo la gestione delle emergenze e la politica del clima tra le sue priorità . Manca la consapevolezza e la volontà  politica, insiste, senza contare le difficoltà  economiche del paese e le sue turbolenze politiche. Anche perché ai cambiamenti meteorologici (che vanno bel oltre la possibilità  di controllo di qualunque singolo governo) si sommano altri disastri, tutti creati in loco: a cominciare dalla deforestazione galoppante, che ha lasciato i pendii pre-himalayani a nudo, esposti all’erosione, incapaci di trattenere le piogge. Tra l’altro, i tronchi tagliati (illegalmente) sono stati trascinati via dalle piogge torrenziali, bloccandosi nei ponti e così facendo straripare fiumi e torrenti. E poi l’espansione di insediamenti umani (e di cemento) sulle sponde dei fiumi. E lo scioglimento dei ghiacciai, particolarmente veloce in questa regione ai piedi dell’Himalaya e del Hindukush, che contribuisce alle frequenti inondazioni estive. E così torniamo al punto: il Pakistan ci sta mostrando gli effetti del cambiamento del clima: peccato che nessuno voglia prenderne nota.


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