«Gli ospedali siriani trasformati in centri di tortura»

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Ormai le forze di sicurezza non hanno remore a sparare contro le ambulanze che soccorrono i contestatori picchiati. E non ci si può sentire più al sicuro neanche una volta ricoverati in ospedale. Anzi. Un rapporto di Amnesty International, pubblicato oggi, denuncia le irruzioni degli agenti in corsia spesso spalleggiati dagli operatori sanitari che, nonostante la loro missione sia curare, partecipano alle torture per paura di possibili ritorsioni. L’organizzazione per i diritti umani elenca diversi casi avvenuti in quattro nosocomi. Chi si ribella ne paga le conseguenze. Un chirurgo dell’ospedale militare di Homs che ha protestato per il trattamento disumano inflitto a un ragazzino è stato costretto a lasciare il Paese lo scorso giugno: «Eravamo in pronto soccorso — ha raccontato agli attivisti — ed è arrivato un quindicenne. Non era grave. Così l’abbiamo affidato alle cure dei paramedici, ma a un certo punto ho sentito urla disumane, sono accorso e ho visto un infermiere che colpiva il paziente sul piede ferito e lo insultava pesantemente. Gli ho detto di fermarsi immediatamente».
In un altro caso, sempre a Homs ma nel nosocomio pubblico, un uomo è stato picchiato selvaggiamente da infermieri e forze di sicurezza che gli gridavano: «Maiale vuoi la libertà ?». A Banias undici persone sono rimaste per quattro giorni legate mani e piedi ai letti con i soldati che li guardavano a vista: «Non ci davano né da bere né da mangiare — ha raccontato uno di loro —. Non potevamo neanche andare in bagno. A un certo punto ho chiesto a un sergente un po’ d’acqua e lui ha detto: “Okay ti darò l’acqua”. E mi ha urinato addosso».
Tra i protagonisti della protesta la voce si è sparsa e, per paura delle conseguenze, molte persone preferiscono evitare le strutture pubbliche per farsi curare in centri privati o, peggio, in luoghi improvvisati privi delle attrezzature necessarie. Lo dimostra il fatto che nell’ospedale militare di Homs negli ultimi mesi i ricoveri siano diminuiti nonostante il numero dei feriti sia aumentato in tutto il Paese. Ma non basta. Il regime riesce a «scovare» i suoi nemici anche nelle cliniche a pagamento perché il materiale per una trasfusione è reperibile solo nella Banca centrale del sangue, controllata dal ministero della Difesa. «Ogni volta che riceviamo un paziente con ferite da arma da fuoco — ha raccontato un medico di una casa di cura di Homs ad Amnesty — non sappiamo cosa fare: se facciamo la richiesta per una sacca di sangue, le forze di sicurezza sapranno chi è e lo porremo a rischio di arresto, tortura e possibile morte in carcere».
Anche gli operatori sanitari sono nel mirino delle forze di sicurezza, proprio come è già  avvenuto in Bahrein dove qualche settimana fa venti medici e paramedici sono stati condannati da un tribunale militare fino a 15 anni di reclusione per aver prestato soccorso ai manifestanti. Il 7 agosto una ventina di soldati e agenti hanno fatto irruzione in un ospedale governativo nel distretto di Homs, arrestando numerosi operatori sanitari: «Ci hanno legato e picchiato — ha raccontato uno dei malcapitati ad Amnesty —. Un dottore è stato preso particolarmente di mira. Gli dicevano: “Allora sei tu che curi i feriti?”. E lo schiaffeggiavano».


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