Pareggio di bilancio, il modello di Einaudi era Vittorio Amedeo II

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L’iter di modifica della Costituzione è avviato. Sono i paletti imposti dall’Europa: «Accettiamo le regole — spiega — ma è necessario riflettere su come vanno fatte. Un buon esempio è la legge svizzera federale sul pareggio di bilancio». 
Sotto esame è l’articolo 81 della Costituzione e l’occasione è la presentazione del saggio di Luigi Einaudi sulleEntrate pubbliche dello Stato Sabaudo nei bilanci e nei conti dei tesorieri durante la guerra di successione Spagnuola, dato alle stampe nel 1907 quand’era docente alla Bocconi e che la Vitale & Associati ha deciso di ripubblicare. In appendice è stata allegata la lettera che il 13 dicembre 1948 Einaudi, allora presidente della Repubblica, scrisse al ministro del Tesoro Giuseppe Pella chiedendogli di «discutere il significato dell’articolo 81 per se stesso». Einaudi si chiedeva — una domanda retorica — se «un bilancio il quale non soddisfi alla condizione del bilancio o pareggio fra le due quantità  (entrate e spese), può essere considerato un vero e proprio bilancio».
«Un testo rigoroso, scritto non per divulgare, ma per spiegare» ha detto il banchiere d’affari Guido Roberto Vitale, ma soprattutto per ricordare: «Einaudi è stato dimenticato». Tuttavia, scrive Vitale nella nota introduttiva, le sue analisi rimangono attuali, «basta leggere le sue considerazioni in merito all’introduzione di un’imposta patrimoniale e alla credibilità  di cui un governo deve godere per poterla efficacemente imporre». L’enorme lavoro di analisi dei conti dello Stato sabaudo dal 1700 al 1713, sotto la guida del principe Vittorio Amedeo II, è stato sottolineato nella premessa dall’economista tedesco Otmar Issing: «I dettagli sulle tasse e sulla spesa pubblica — scrive — sono di grande interesse per gli storici, ma per gli economisti e i politici della nostra epoca sono fondamentali le conclusioni che Einaudi ricava dal suo lavoro». E infatti ne hanno discusso ieri economisti e politici, moderati dal direttore del «Sole 24 Ore», Roberto Napoletano. Il libro è stato presentato da Paolo Silvestri dell’Università  di Torino, che ha anche scritto l’introduzione del volume. Schieramento bipartisan per i politici: il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (Pdl), l’ex ministro dell’Interno e del Welfare Roberto Maroni (Lega), l’assessore al Bilancio di Milano Bruno Tabacci (Api) e l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino (Pd).
Per Issing la lettera di Einaudi a Pella «è alquanto blanda e perfino ambigua. Ma non sorprende, perché da un presidente della Repubblica ci si attende un messaggio più equilibrato, meno rigido». Tuttavia, anche da capo dello Stato, Einaudi non ha mai rinunciato al rigore dell’economista piemontese e liberale. E nel paragonare la gestione del bilancio dello Stato a quella del padre di famiglia, spiega che nessuno dei due può partire «dall’assioma che i disavanzi iniziali siano tabù da conservare religiosamente intatti». La sintesi tra economia, politica e morale che Einaudi incarnava e che traspare dai suoi scritti è stato il filo conduttore del dibattito. Declinato in un richiamo all’etica da parte di Lupi: «Bisogna riportare al centro il bene comune e il buon governo». Per Maroni «i problemi sono il debito e la crescita». Politica ed economia sono legate. «C’è stata una fase in cui l’Italia si indebitava però cresceva — ricorda Tabacci, citando gli anni Ottanta —. Ora si indebita ma non cresce». Il nodo lo scioglie Chiamparino: «Il limite di fondo del debito sta nella credibilità  del debitore». E su questo l’Italia sta lavorando.


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