“Se ci fermiamo noi si ferma l’Italia” l’urlo di guerra dei duri dell’asfalto

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bergamo
A mo’ di tappo. «Dove c… vai? Fermati che ti conviene…», minaccia il trasportatore al casello di Capriate San Gervasio. I freni del Tir targato Monaco di Baviera friggono per cinque lunghi secondi: scende l’autista, non sapeva niente perché dal Brennero fino a qui era filato tutto liscio. «Devo consegnare», spiega in un inglese stradale. Risale, motore ancora acceso, vorrebbe ripartire ma gli ultrà  del blocco selvaggio, in azione sui fianchi del bilico, hanno già  trovato il modo per convincerlo. Due squarci nella batteria di pneumatici posteriori hanno afflosciato il Tir che ora pende a destra. E così siamo a quota ventitré. Fermi lì, a Capriate. Altri settanta a Bergamo. E poi Seriate, Dalmine. Quasi un quinto delle imprese lombarde – piccole, medie e grandi – sono concentrate in questo distretto produttivo che ha per simbolo non solo estetico il «chilometro rosso» della Freni Brembo di Alberto Bombassei. I camionisti hanno scelto apposta Bergamo come primo avamposto della protesta al Nord. «Viviamo in uno Stato di strozzini e sanguisughe» gracchia una voce dall’impianto Cb di un autoarticolato di Piove di Sacco, provincia di Padova. Sandro, 43 anni, figlio d’arte. Combatte da vent’anni con due ernie del disco e con dodici ore di volante al giorno. Lascia aperte le due portiere del Tir, alza il volume del «baracchino» con cui i camionisti comunicano tra loro. «Ma in queste situazioni è più sicuro il cellulare» consiglia un padroncino di Grumello del Monte. È però lungo le onde radio che viaggia la rabbia. Ragno, bresciano di Chiari, avverte i colleghi che «i puffetti sono lungo tutta la carrettiera». Tradotto dal gergo: gli agenti della polizia stradale (“puffi”) stanno presidiando la A4 (“carrettiera”) l’autostrada). «Non vogliamo paralizzare tutto ma questa protesta è l’unico modo che abbiamo per farci ascoltare», ragiona Ezio Zanchi, presidente bergamasco di Trasporto Unito. 
Alle sei e mezza di mattina il casello di Bergamo pare uno svincolo di Las Vegas. È l’ora di punta del traffico pendolare verso Milano, un fiume ininterrotto di veicoli che dalle 5 alle 10 scorre in direzione del capoluogo lombardo. All’ingresso della A4 le «barre mobili» (le auto), sono bloccate, i guidatori imbestialiti. Code, bestemmie. «Ci stanno stritolando». Ma chi, il governo o i camionisti? La risposta, in questo caos, è a scelta multipla. Le conversazioni radio avvengono sul canale 5, niente a vedere col più celebre omonimo. «Più ne fermiamo e meglio è» suona la carica un veterano del trasporto pesante dalla Valle Brembana. Le «barre pesanti», i TIR. Sono loro che servono a fare massa. Anche aduso delle troupe televisive. «Gli aumenti di gasolio e autostrade per me significano 1.000 euro al mese in più per ogni camion – aggiunge Zanchi – . La nostra è un’azienda familiare ma non so per quanto ancora riusciremo a andare avanti». Arrivano le volanti della Polizia stradale, nessuno è disposto a mollare. Dice un tipo che si fa chiamare Karonte: «Le aziende non ci pagano, ormai siamo ai 90, anche ai 120 giorni. È il solito rimbalzello: le imprese a loro volta non vengono pagate dai clienti. Solo che in fondo alla catena ci siamo noi». Sotto coi blocchi, allora. Però light. I duri dell’asfalto si sono inventati una tecnica meno invasiva ma efficace. Fermano i camion, li tengono in sosta mezz’ora. Poi li fanno ripartire. Una specie di stop and go capace di generare disagi senza paralizzare il traffico. «Andremo avanti fino a venerdì – promette Zanchi – a meno che a Roma capiscano che ci stanno distruggendo. Se ci fermiamo noi si ferma l’Italia. Tutto, anche l’insalata».


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