Mills, la prescrizione ora è certa

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MILANO — Spiaggiato sui fondali del Palazzo di giustizia come una mesta nave Concordia giudiziaria, anche ieri il processo Berlusconi-Mills si inclina di quell’impercettibile ulteriore manciata di centimetri procedurali che lo fa inabissare nella prescrizione ormai certa anche prima della sentenza di primo grado.
Magari la spina verrà  formalmente staccata solo dopo il 25 febbraio, quando i giudici hanno fissato la prima udienza utile all’esito della decisione che il 18 febbraio la Corte d’appello prenderà  sulla loro ricusazione chiesta dall’ex premier. Ma, di fatto, l’elettroencefalogramma del processo — che computi realistici (non quelli ottimistici del pm sulla primavera né quelli striminziti della difesa sull’8 gennaio scorso) indicano prescritto tra oggi e il 18 febbraio — è piatto da ieri sera: da quando l’udienza si esaurisce con il pm che rimanda la fine della requisitoria a mercoledì, e i difensori che meditano quel giorno di dismettere il mandato difensivo prima delle arringhe. E così costringere il Tribunale a nominare all’ex premier un avvocato d’ufficio che, nulla sapendo, ovviamente chiederà  termini a difesa: «Valuteremo con il nostro assistito se abbia senso la permanenza dei difensori in questo processo», anticipano i parlamentari Ghedini e Longo, mentre nove loro colleghi del Pdl dettano comunicati di fuoco contro i «giudici non imparziali».
Dalle 9.30 alle 16 i legali prima invocano come «prove straordinarie» molti testi già  più volte chiesti ma non concessi dal Tribunale perché già  ascoltati o giudicati superflui alla luce dell’istruttoria. E poi, come accade mai, impugnano una norma per pretendere che a fine istruttoria il Tribunale dia lettura di tutti i verbali che userà  per decidere. «Estrinsecazione del principio di oralità  del dibattimento», proclama Longo solenne. «Vent’anni fa chiedevano questo formalismo nei processi di mafia — replica il pm De Pasquale —: c’è da tutelare un interesse meritevole o da dare spazio irragionevole al puro cavillo?».
Quando il Tribunale respinge le richieste, il pm inizia (ma in 2 ore non finisce) a chiedere la condanna di Berlusconi in forza della «confessione stragiudiziale di Mills» nella lettera del 2004 al suo consulente legal-tributario, il «caro Bob» Drennan, sui 600.000 dollari nel 1999 dal Cavaliere: «Le persone di B. erano consapevoli che il modo in cui avevo reso la mia testimonianza (non ho mentito ma ho superato tricky corners, passaggi difficili, per dirla in modo delicato) aveva tenuto Mr B. fuori dal mare di guai nel quale l’avrei gettato se avessi detto tutto quello che sapevo».
«Qui davvero le parole sono pietre», rimarca il pm, che alla successiva «risibile ritrattazione di Mills» oppone «le precedenti 12 volte» in cui Mills, agli ispettori delle tasse inglesi o ai suoi fiscalisti o persino negli appunti del suo computer, «aveva ripetuto o non rettificato l’ammissione d’aver mentito per schermare Berlusconi rispetto alle società  offshore» che il legale inglese, marito di un ministro del governo Blair, aveva creato per Fininvest.
Reticenze «per proteggerlo nei processi» e ad esempio «determinare la carenza di prova certa e quindi l’assoluzione in Appello» sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza. Ma anche per nascondere che «i 10 miliardi di lire di utili della offshore Horizon, primo regalo di Berlusconi a Mills nel 1995, erano diventati gli utili di Mills proprio perché lui si era sacrificato per distanziare Berlusconi dalle società  offshore» che potevano far emergere l’aggiramento della legge Mammì sulle tv; o i fondi alle due società  alle Bahamas («Nell’interesse dei figli Marina e Piersilvio poco più che ventenni, li ho archiviati perché teste di legno del padre») dai cui conti «nel 1992-1994 furono prelevati in contanti 100 miliardi di lire».
E se tra Svizzera, Inghilterra, Bahamas e Gibilterra «non è possibile ed è anzi ingenuo ricostruire la tracciabilità  dei 600.000 dollari», è perché Mills, nel 2010 ritenuto colpevole dalla Cassazione dove si è però prescritta la condanna a 4 anni e mezzo, «ha fatto sparire il cadavere: ha confuso patrimoni suoi, dei clienti e di Berlusconi in un’entità  societaria spersonalizzata proprio per impedire che si potesse capire di chi fossero i soldi».


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