Sorgenia, i russi si fanno avanti Stop dopo l’elezione di Putin

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MILANO — Tempi duri sul mercato italiano dell’energia. Consumi in calo, margini risicati o negativi e prospettive grigie, soprattutto per chi non può contare su spalle larghe come quelle dell’operatore dominante Enel. Lo scenario sta cambiando, e le aziende stanno mettendo in atto strategie di contenimento, dal consolidamento fino all’uscita dal business. 
L’ultima indiscrezione, ad esempio, riguarda la Sorgenia del gruppo De Benedetti, controllata dalla Cir con il 52% e dagli austriaci di Verbund con il 45% (il 2% è dei manager e il restante 1% del Montepaschi). Dopo alcuni mesi di trattative più o meno ufficiali, qualche settimana fa la russa Inter Rao Ues (assistita da Ubs) si è detta disposta a confezionare un’offerta «congrua», giudicata interessante dagli advisor (Goldman Sachs per la Cir, mentre gli austriaci si sono affidati a Mediobanca e Merrill Lynch). Il tutto, però, aggiornato a prima della tornata elettorale conclusa con la scontata elezione alla presidenza di Vladimir Putin. Dai primi di marzo, però, il gruppo russo ha congelato i contatti, lasciando banche d’affari e azionisti in una sorta di limbo. In attesa, pare, del nuovo governo e del relativo ministro dell’Energia che dovrebbe insediarsi da maggio. 
Ma al di là  del caso Sorgenia (un portavoce di Cir ha precisato «che non ci sono accordi, che il consiglio di amministrazione di Cir non ha mai discusso di un’ipotesi simile, né ad oggi è previsto che se ne occupi in futuro») resta il fatto che il mercato italiano è in vista di cambiamenti significativi. I russi, nel caso, si troverebbero in buona compagnia internazionale: con il colosso francese Edf nella «nuova» Edison frutto del divorzio con i soci italiani, a meno di sorprese che in una vicenda lunga più di dieci anni non si possono escludere. 
Un altro gigante europeo, la tedesca E.On, è invece da tempo in predicato di lasciare l’Italia. Malgrado i «no comment» («continuiamo a fare il nostro mestiere», ha detto di recente Miguel Antonanzas, numero uno in Italia) non si potrebbe escludere una vendita frazionata degli asset produttivi, a partire dalla centrale sarda di Fiume Santo.
Sullo sfondo di questi possibili movimenti c’è un fatto incontrovertibile, che coinvolge un altro genere di «spread»: il margine garantito dal prezzo nazionale dell’energia (chiamato «spark spread»), che di questi tempi è a malapena sufficiente, nel caso di un impianto a gas, a ripagare il costo del combustibile. Per coprire i costi totali di una centrale a ciclo combinato il differenziale tra il prezzo nazionale dell’elettricità  e il costo del gas dovrebbe essere intorno ai 15 euro al megawattora. In media nel 2011 è stato invece di 11 euro, e nei primi mesi del 2012 si è abbassato a 4-5 euro. Ciò significa che non solo di notte ma in buona parte anche di giorno, i cicli combinati a gas delle aziende come Sorgenia, E.On ed Edison restano spenti. In casi estremi le aziende arrivano a comprare energia sul mercato, che nelle ore di «spread» negativo è fornita dalle centrali a carbone detenute in maggioranza dall’Enel. Le centrali a gas lavorano soprattutto verso sera, quando l’energia solare (che ha priorità  di accesso in rete) smette di funzionare. Crisi profonda insomma. Prima del 2008 lo «spark spread» era di 20 euro. Difficile che quei tempi possano tornare in fretta.


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