QUELLE MISTERIOSE TAVOLE TESTIMONI DELL’UMANESIMO

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La tavola di Urbino presenta, al centro di una piazza quadrangolare, un edificio a pianta centrale a doppio ordine, con copertura conica: un portico segna la fabbrica che è il fuoco visivo del dipinto. Ai lati si levano residenze di pari altezza ma di diversa tipologia: esse sono porticate, ma il palazzo sulla sinistra è concluso da una loggia. La tavola di Baltimora è del tutto in linea con i principi della renovatio: ai lati due palazzi di uguale altezza (quello sulla destra con portico) si levano su di un alto zoccolo e formano una piazza, scandita da quattro colonne. Al fondo della scena un arco trionfale a tre fornici, sulla sinistra un anfiteatro che ricorda il Colosseo, sulla destra un edificio ottagono, a doppio ordine con copertura a punta di diamante, concluso da una lanterna. L’arco centrale ricorda inequivocabilmente quei passi del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti nei quali si afferma che le prospettive delle grandi strade vanno degnamente concluse da un tale monumento.
Le intenzioni dell’artista sono complesse, ché implicano da un lato la rinascita dell’Antico – secondo i modelli vitruviani – dall’altro un dialogo serrato col mondo medievale, simboleggiato dall’edificio sulla sinistra, il quale, per la stereometria della fabbrica, ricorda il Bel San Giovanni e per la decorazione bicroma rigorosamente geometrica allude anche al fronte di San Miniato: non certo dunque agli edifici rinascimentali. A queste due tavole si possono associare due prospettive urbane: la prima, allo Staatliche Museum, la seconda al Kunstgewerbemuseum, entrambe a Berlino. Sulle tavole, volte a rappresentare ambiti, più o meno ampi, della Città  ideale, intervenne Richard Krautheimer, che attinse alla letteratura più recente: per la tavola di Urbino la lettura di Gabriele Morolli e l’analisi diagnostica di Maurizio Seraceni, e condusse un’analisi ad hoc per la tavola di Baltimora. La seconda questione riguarda la datazione delle tavole e la loro unicità : esse sono infatti una rara eccezione nella pittura del XV secolo in quanto rappresentazione per exempla del nuovo linguaggio umanistico. Per precisione e contenuto propriamente architettonico devono considerarsi modello stilistico di riferimento delle tarsie realizzate negli appartamenti del Palazzo Ducale di Urbino, certamente databili tra il 1474 e il 1482, e in quanto tali successive ai dipinti. Furono messe in mostra a Palazzo Grassi nel 1994 accanto alla coeva Tavola Strozzi di Napoli e quella di Roma, entrambe di Francesco Rosselli. Un confronto diretto tra città  ideale e città  reale. Rimane la questione dell’attribuzione (la ballata è sempre in corso) a una o più mani per ciascuna tavola. Il gioco qui si fa serrato e labile nella sua articolazione. Ma l’idea che dietro queste tavole possa esserci non la mano, ma l’intelligenza ordinatrice del trattatista Leon Battista Alberti è convincente: suggerita in prima istanza da Kimball (1927-28), fu ripresa con nuove argomentazioni dallo stesso Morolli (1992), fu confermata da Krautheimer e su di essa chi scrive ritiene di aver portato ulteriori e non irrilevanti argomenti a favore.


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