POPULISMO E POPOLO

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Tra i morsi feroci della crisi economica e gli scandali nauseanti della corruzione politica, siamo dentro un default democratico pieno e violento. Tanto da rendere moneta corrente il dibattito sull’abolizione dei partiti, senza se e senza ma.
La domanda sull’utilità  di tenere in vita questi rappresentanti del popolo è stata rivolta al pubblico della Rete l’altra sera, durante il programma di Santoro dedicato allo sfascio della politica. Scontato e inarrestabile il risultato: un plebiscito di consensi. Il sintomo di un sentimento diffuso, maggioritario. Facile prevedere che se un referendum pro o contro i partiti uscisse dai sondaggi e venisse calato nella realtà , di questi partiti non resterebbe traccia. Piuttosto meglio un uomo forte, un angelo vendicatore capace di toglierci dalla palude della corruzione, del privilegio, dell’impunità  che le forze politiche, di destra e di sinistra, non hanno sconfitto essendone complici e, spesso, la quinta essenza.
La rabbia, l’odio, la disperazione si sommano e accendono il fuoco purificatore in un paese sballottato tra un finanziamento pubblico tradotto in lingotti d’oro e una crisi economica segnata dai suicidi, tra tesorieri infedeli e lavoratori ridotti a rifiuti del mercato. Distinguere tra cause (il dominio assoluto di un capitalismo barbaro) ed effetti (una politica ridotta a tecnica amministrativa) diventa sempre più faticoso, la logica del «sono tutti uguali», acquista la forza poderosa del pollice verso, fa volare l’audience dell’antipolitica, ingrassa il consenso, mortifica l’analisi, accoglie con fastidio il lavoro di quanti nei partiti lavorano con impegno e onestà .
I comizi di Grillo sono l’ultima moda dello spettacolo politico, l’osso leghista è spolpato dal santone con un miscuglio di proclami contro l’euro e contro la cittadinanza ai figli degli immigrati. L’imperativo è moltiplicare l’indignazione popolare e fare un bel falò di questa classe dirigente, incapace e corrotta. Pazienza se poi ci toccherà  sopportare per un altro ventennio qualche salvatore della patria, sobrio e presentabile, prodigo di promesse sul paese da ricostruire come un’azienda. In fondo di Berlusconi ci saremmo già  dimenticati, se ogni tanto non tornasse lui a ricordarci perché siamo giunti a questo crollo di credibilità  del sistema.
In tribunale per il processo Ruby, davanti alle telecamere, l’ex re d’Italia ha spiegato che le donne sono un po’ esibizioniste, che si trattava di uno spettacolino di burlesque, e non c’è niente di male. Perfino patetico, ma fino a ieri era il presidente del consiglio che chiedeva al parlamento della repubblica l’umiliante voto per la nipote di Mubarak. Uno spogliarello istituzionale e definitivo. Oggi raccogliamo le macerie e gridare contro l’antipolitica è un inutile. Specialmente se tra i suoi più assidui critici figurano in prima fila gli stessi che hanno consegnato le chiavi del governo a chi taccia di populismo le più elementari aspirazioni popolari.


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