L’autunno caldo del lavoro parte dalle isole

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PORTOVESME. Alcoa, ultimo atto. Sarà  completato tra alcune settimane il processo di fermata del forno, della fonderia e del reparto produzione anodi della fabbrica di alluminio primario del Sulcis, che Alcoa ha annunciato di voler avviare a partire da domani. «I dipendenti continueranno a essere impiegati fino alla fine del 2012 – si legge in una nota diffusa in serata dalla multinazionale americana – per mettere in sicurezza l’impianto e assicurare la possibilità  di un suo futuro riavvio, da parte di un nuovo operatore, nel corso dei 12 mesi seguenti il completamento del processo di fermata». Ai manager Usa non basta l’invito del governo Monti a considerare l’offerta di acquisto arrivata in extremis dal gruppo svizzero Glencore. Di fatto la trattativa ancora non è stata neppure aperta, anche perché gli elvetici chiedono al governo garanzie sul costo (da ridurre) dell’energia e sulle infrastrutture (trasporti) che difficilmente l’esecutivo presieduto da Mario Monti potrà  concedere in tempi utili.
Ieri gli operai Alcoa si sono riuniti in assemblea. Erano in tanti, ma alla fine non s’è fatto altro che prendere atto della situazione di stallo. Da domani gli impianti cominceranno ad essere bloccati e al momento solo una molto improbabile rinuncia di Glencore al pacchetto di richieste presentate l’altro ieri, durante il vertice al ministro dello sviluppo economico, potrebbe indurre Alcoa a fare marcia indietro.
Dure le reazioni contro Alcoa sia sul fronte sindacale sia su quello politico. «Alcoa deve vergognarsi a non concedere il tempo necessario per trovare una soluzione – dice Augustin Breda, dirigente nazionale della Cgil e coordinatore lavoro e società  della Fiom – Per decenni l’Alcoa ha ricevuto dallo stato e dall’Enel l’energia elettrica a prezzi di favore; vantaggi che sono però stati pagati da tutti i cittadini italiani con un sovraprezzo di scopo sulle loro bollette, a compensazione totale del minor prezzo pagato dalla multinazionale. Centinaia di milioni di euro passati dalle tasche degli italiani direttamente alla multinazionale americana per abbattere il prezzo dell’energia e quindi dell’alluminio prodotto per stare sul mercato europeo».
«La situazione – aggiungono il segretario nazionale Fim Cisl Marco Bentivogli e il segretario regionale Rino Barca – è oramai è fuori controllo, nonostante le rassicurazioni emerse dalla riunione al ministero dello sviluppo economico sull’ipotesi Glencore. La decisione di Alcoa di avviare lo spegnimento degli impianti è inaccettabile». «Alcoa ha avuto tanto dallo stato e dai lavoratori italiani, il governo deve assolutamente impedire che la rigidità  della multinazionale Usa sia un pericoloso detonatore per la disperazione e l’esasperazione dei lavoratori . Resta decisivo il costo dell’energia: da un lato perché non può essere rivendicato a costi irrealizzabili, dall’altro la soluzione e la scarsa competitività  dei costi energetici passa per un nuovo piano energetico che scomodi i gestori dell’energia, a partire da Enel e Eni, la cui scarsa competitività  è una zavorra per tutto il sistema industriale italiano».
«Come consiglio regionale – dice Luciano Uras, capogruppo Sel nell’assemblea sarda – abbiamo votato l’impegno a porre in essere ogni mezzo politico, normativo, finanziario e legale per scongiurare l’avvio delle procedure di fermata degli impianti. Il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, che ha direttamente trattato con il governo, dica se questo impegno rimane. Abbiamo unanimemente votato questo e l’indirizzo politico generale di ridisegnare la qualità  del confronto-scontro istituzionale con il governo, inadempiente verso la Sardegna e i sardi su troppe questioni: difesa e rilancio delle attività  industriali ed economiche, trasferimento delle risorse sulle nuove entrate, trasporti e continuità  territoriale, sistema energetico regionale, per citare le più rilevanti». «Il presidente della Regione – aggiunge Uras – deve rinunciare alle modalità  di trattativa condotte fino ad oggi, che frammentano l’insieme della vertenza, non organizzano il coinvolgimento generale di tutti i soggetti istituzionali, politici, sociali ed economici sardi, non hanno ad oggi dato origine alla generale mobilitazione dell’opinione pubblica sarda sul futuro di tutta l’isola e non solo del Sulcis».


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