Da Albertini al manager di Google I «Cento» sono diventati 3.500

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Intanto tra una polemica e l’altra (ieri il professor Luigi Zingales, dell’associazione «Fermare il declino», cui fa riferimento anche Oscar Giannino, ha definito i promotori dell’appello, «montisti disperati») e anche molte gelosie, il documento di Montezemolo, Riccardi e Bonanni, ha raccolto 3.500 firme. Certo, non è ancora il Big Bang a cui i fondatori ambiscono. Ma continuano le adesioni. Gabriele Albertini, l’ex sindaco di Milano, parlamentare europeo, in campo per le prossime Regionali lombarde. Un pacchetto di imprenditori come Alberto Bombassei, Andrea Moltrasio, Sandro Buzzi (a capo di una multinazionale del cemento). Alcune associazioni: Verso Nord (che fa riferimento a Massimo Cacciari, molto attiva in Veneto, Piemonte e Lombardia), Rete popolare, i Riformisti sardi (che hanno vinto i due recenti referendum in Sardegna), l’associazione Rondine di Arezzo e Zero+, il gruppo di liberali di Piercamillo Falasca («Il manifesto deve essere un’iniziativa non moderata, come qualcuno prova a etichettarla, ma radicalmente riformatrice», dice). 
Un esponente della ricerca biomedica, come Andrea Ballabio del Tigem (Telethon Institute Genetics and Medicine), il sociologo della Cattolica, Mauro Magatti. E poi tre manager italiani inseriti nei meccanismi di globalizzazione: Diego Piacentini, braccio destro di Jeffrey (“Jeff”) Bezos, il fondatore di Amazon; Carlo D’Asaro Biondo, presidente dell’area Sud ed Est Europa, Medio Oriente e Africa di Google; Daniele Bondì, capo dell’industria alimentare Ferrero in Australia e Asia. Due ex ambasciatori italiani come Giancarlo Aragona e Antonio Puri Purini.
L’appuntamento romano di metà  novembre sarà  aperto da un racconto dello scrittore Edoardo Nesi (premio Strega l’anno scorso) la cui narrativa si concentra sui temi del mondo del lavoro. Alla convention, uno degli ospiti più attesi sarà  Corrado Passera, attuale ministro dello Sviluppo. Passera — spiegano i suoi collaboratori — non ha firmato il Manifesto per rispettare il suo profilo di ministro-tecnico, ma la sua presenza agli Studi De Paolis pare certa, considerato l’interesse che l’iniziativa ha suscitato nel ministro-manager. Il quale, assicurano i suoi, apprezza la filosofia e i contenuti dell’appello, visto che dell’Agenda Monti, punto di partenza dell’aggregazione, è uno dei principali protagonisti. Non ci saranno, invece, politici in senso stretto. Non dovrebbero esserci dunque né Casini né Fini, nonostante il lavoro avviato dai centristi per la costituzione di quella Lista per l’Italia che tanti punti di convergenza ha con l’iniziativa del Manifesto. Resta il «nodo» di «Fermare il declino», cioè la disparità  di visione che ha allontanato in questi giorni Oscar Giannino, uno degli iniziali promotori del movimento. Giannino non condivide il Manifesto, giudicato troppo blando su alcuni punti programmatici come le liberalizzazioni o il ruolo che dovrebbe spettare alle organizzazioni sindacali. Ma il punto più controverso ruoterebbe attorno alla «retorica sul governo dei tecnici», come ha sostenuto Zingales. Non tutti, insomma, sono così concordi nell’enfatizzare l’attuale esperienza di governo.
A Zingales ha risposto Ernesto Auci, tra i firmatari dell’appello: «I suoi timori sono del tutto infondati. Non è il momento di fare i primi della classe o i grilli parlanti. Disperati saranno solo coloro che, pur avendo una possibilità  di fare qualcosa per l’Italia, non l’hanno colta per supponenza e orgoglio». Per sanare questa rottura sono al lavoro molti pontieri. Alla fine, ci saranno i fondatori di «Fermare il declino» a Roma? «Nessuno mi ha invitato» — dice Alessandro De Nicola — aggiungendo però che vuole «smettere con qualsiasi polemica, perché per noi è importante che loro vogliano inserire i nostri punti nel programma: e su questo martelleremo fino all’ultimo!». Anche Emma Marcegaglia, ex presidente di Confindustria, non ha firmato il Manifesto, e ha detto: «In un momento di gravità  come questo dobbiamo parlare di contenuti concreti, non fare solo chiamate alle armi».
M. Antonietta Calabrò


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