Un fallimento la guerra al terrore di Bush

Loading

Le dimissioni di Petraeus da capo della Cia, le accuse rivolte al generale John Allen per una relazione telematica promiscua con l’agente di collegamento tra esercito e servizi segreti Jill Kelley, avviene proprio quando il neo-eletto presidente Obama dichiara che quel decennio è finito. Ora occorre riflettere suggerisce sul Daily Beast Andrew Sullivan, giornalista britannico residente negli Stati Uniti, già  direttore di New Republic, su quanto sia “ridotta in basso la reputazione degli uomini che sono stati così fortemente coinvolti in questi anni di sventure all’estero, dove abbiamo torturato e favorito la tortura, armato squadroni della morte, condotto omicidi notturni, ucciso innocenti, consentito la corruzione”. Torture, omicidi, corruzione, tutto quello che per Sullivan va imputato ai generali senza più stellette continua però a rimanere ammirevole anche per il democratico Obama, che in una conferenza stampa alla Casa Bianca ha espresso ammirazione “per la straordinaria carriera” di Petraues in Iraq, Afghanistan e come capo della Cia. “Siamo più sicuri grazie al lavoro svolto da Petraues”, ha sottolineato Obama. Ma è così? E la sicurezza vale solo per gli statunitensi o anche per chi ha subito sulla propria pelle le decisioni degli strateghi di Washington e West Point? 
Già  parlamentare, vice-direttore del centro di ricerca Afghanistan Research and Evaluation Unit, Mir Ahmad Joyenda (a Roma su invito del network “Afgana”) sostiene che “le strategie pensate per l’Afghanistan non hanno funzionato, ci aspettavamo molto di più, in termini di sicurezza e di stabilità  economica”. Al generale Petraeus, a cui sembra riconoscere una certa determinazione nel combattere le forze anti-governative, imputa però un grave errore: “l’aver voluto adottare anche in Afghanistan, dopo averlo fatto in Iraq, la strategia delle milizie locali, che da noi si chiamano ALP, Afghan Local Police, e che già  hanno provocato molti danni”. Anche per Idress Zaman, direttore dell’organizzazione Cooperation for Peace and Unity, l’eredità  di Petraeus in Afghanistan rimane negativa: “noi lavoriamo molto nell’area di Kunduz, lì i gruppi dell’ALP sono forti e pericolosi. La situazione è paradossale, alla Catch 22: a dover garantire la sicurezza sono gruppi criminali armati e pagati dal governo e dagli americani”. Per Najiba Ayubi, giornalista e direttrice del network di media indipendenti The Killid Group, “il fallimento di Petraeus e John Allen era inevitabile: quello afghano è un problema troppo complesso perché possa essere risolto da qualcuno che viene da fuori”. Quanto alle implicazioni dell'”affaire Petraeus” sul conflitto afghano, Idrees Zaman sostiene che “ci sarà  innanzitutto una ennesima vittoria simbolica per i Talebani: il fatto che alcuni dei fatti in questione siano accaduti a Kabul, sarà  usato per dimostrare che gli stranieri in Afghanistan compiono atti immorali, contrari alla religione. Una buona arma mediatica. Sul terreno militare non cambierà  molto, visto che John Allen era destinato a cambiare ruolo, ma ci saranno ripercussioni nei rapporti tra i servizi segreti afghani, pakistani e americani, decisivi nel conflitto afghano. Da parte loro, i pakistani sono soddisfatti di quanto sta subendo Petraeus: proprio a lui attribuiscono la responsabilità  dell’attacco Nato ai check point pakistani di Salala, lo scorso novembre, e da tempo cercano l’occasione per screditarlo”.O PETRAEUS VISTO DA AFGHANI E PAKISTANIUn fallimento la guerra al terrore di BushARTICOLO 

Giuliano Battiston
«King David», il generale David Petraeus, al tappeto; il suo successore alla guida delle truppe americane in Afghanistan, il generale John Allen, all’angolo, barcollante.
È una parabola che racconta il fallimento dell’intera strategia della guerra al terrore inaugurata nel 2001 dal presidente George W. Bush. Le dimissioni di Petraeus da capo della Cia, le accuse rivolte al generale John Allen per una relazione telematica promiscua con l’agente di collegamento tra esercito e servizi segreti Jill Kelley, avviene proprio quando il neo-eletto presidente Obama dichiara che quel decennio è finito. Ora occorre riflettere suggerisce sul Daily Beast Andrew Sullivan, giornalista britannico residente negli Stati Uniti, già  direttore di New Republic, su quanto sia “ridotta in basso la reputazione degli uomini che sono stati così fortemente coinvolti in questi anni di sventure all’estero, dove abbiamo torturato e favorito la tortura, armato squadroni della morte, condotto omicidi notturni, ucciso innocenti, consentito la corruzione”. Torture, omicidi, corruzione, tutto quello che per Sullivan va imputato ai generali senza più stellette continua però a rimanere ammirevole anche per il democratico Obama, che in una conferenza stampa alla Casa Bianca ha espresso ammirazione “per la straordinaria carriera” di Petraues in Iraq, Afghanistan e come capo della Cia. “Siamo più sicuri grazie al lavoro svolto da Petraues”, ha sottolineato Obama. Ma è così? E la sicurezza vale solo per gli statunitensi o anche per chi ha subito sulla propria pelle le decisioni degli strateghi di Washington e West Point? 
Già  parlamentare, vice-direttore del centro di ricerca Afghanistan Research and Evaluation Unit, Mir Ahmad Joyenda (a Roma su invito del network “Afgana”) sostiene che “le strategie pensate per l’Afghanistan non hanno funzionato, ci aspettavamo molto di più, in termini di sicurezza e di stabilità  economica”. Al generale Petraeus, a cui sembra riconoscere una certa determinazione nel combattere le forze anti-governative, imputa però un grave errore: “l’aver voluto adottare anche in Afghanistan, dopo averlo fatto in Iraq, la strategia delle milizie locali, che da noi si chiamano ALP, Afghan Local Police, e che già  hanno provocato molti danni”. Anche per Idress Zaman, direttore dell’organizzazione Cooperation for Peace and Unity, l’eredità  di Petraeus in Afghanistan rimane negativa: “noi lavoriamo molto nell’area di Kunduz, lì i gruppi dell’ALP sono forti e pericolosi. La situazione è paradossale, alla Catch 22: a dover garantire la sicurezza sono gruppi criminali armati e pagati dal governo e dagli americani”. Per Najiba Ayubi, giornalista e direttrice del network di media indipendenti The Killid Group, “il fallimento di Petraeus e John Allen era inevitabile: quello afghano è un problema troppo complesso perché possa essere risolto da qualcuno che viene da fuori”. Quanto alle implicazioni dell'”affaire Petraeus” sul conflitto afghano, Idrees Zaman sostiene che “ci sarà  innanzitutto una ennesima vittoria simbolica per i Talebani: il fatto che alcuni dei fatti in questione siano accaduti a Kabul, sarà  usato per dimostrare che gli stranieri in Afghanistan compiono atti immorali, contrari alla religione. Una buona arma mediatica. Sul terreno militare non cambierà  molto, visto che John Allen era destinato a cambiare ruolo, ma ci saranno ripercussioni nei rapporti tra i servizi segreti afghani, pakistani e americani, decisivi nel conflitto afghano. Da parte loro, i pakistani sono soddisfatti di quanto sta subendo Petraeus: proprio a lui attribuiscono la responsabilità  dell’attacco Nato ai check point pakistani di Salala, lo scorso novembre, e da tempo cercano l’occasione per screditarlo”.


Related Articles

Siria, cinquemila morti al mese La guerra che non finisce mai

Loading

 Siria, cinquemila morti al mese La guerra che non finisce mai

Il drammatico dato è stato diffuso dal vicesegretatio generale dell’Onu Ivan Simanovic.  Nello stesso tempo, la situazione degli oltre 1,8 milioni di rifugiati siriani resta la peggiore dal genocidio del Ruanda del 1994. Ad affermarlo è l’Alto Commissario dell’Onu per i Rifugiati, Antonio Guterres. Si segnalano 9 persone “giustiziate” tra le quali un bambino

Tra i veterani dell’Ucraina il Paese della guerra sospesa

Loading

 Nelle vie centrali di Kiev, le foto plastificate con i visi di ragazzi e soldati caduti al fronte

I « due marò »: quello che i media (e i politici) italiani non vi hanno detto

Loading

Una delle più farsesche “narrazioni tossiche” degli ultimi tempi è senz’altro quella dei “due Marò” accusati di duplice omicidio in India. Fin dall’inizio della trista vicenda, le destre politiche e mediatiche di questo Paese si sono adoperate a seminare frottole

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment