Primarie, a Bersani il 10% dei nomi

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ROMA — Non è stata facile la preparazione, ma poi ieri sera la Direzione del Pd in tre ore ha votato all’unanimità  le sue regole interne per potersi candidare alle Politiche del 2013. Alla riunione si era arrivati con una bozza che rappresentava un’intesa di massima tra le varie anime del partito, sinistra e renziani compresi (Matteo Renzi, nei giorni scorsi dato per assente, ha partecipato alla riunione). Però alcuni punti politici erano rimasti irrisolti: a partire dal peso del listino bloccato di prescelti dal segretario e dalla questione delle deroghe per chi è già  stato in Parlamento per oltre 15 anni.
Ieri il sito del Pd annunciava in un video che il 90% delle candidature sarebbe stato scelto con le primarie e il 10% dalle direzioni regionali in accordo con quella nazionale. In realtà  poi le percentuali si sono rivelate diverse, perché sarà  affidata a Bersani anche la scelta dei capilista, facendo lievitare la sua quota riservata.
In quanto alle deroghe, alla fine sono state concesse (con tre voti contrari e tre astensioni) senza conte individuali potenzialmente imbarazzanti a tutti e dieci i richiedenti: Mauro Agostini, Rosy Bindi, Gianclaudio Bressa, Anna Finocchiaro, Giuseppe Fioroni, Maria Pia Garavaglia, Giuseppe Lumia, Franco Marini, Cesare Marini, Giorgio Merlo. Tutti, se non saranno compresi nel listino del segretario, dovranno sottoporsi alle primarie. Tanti altri, una ventina, non hanno chiesto la deroga, da Massimo D’Alema e Walter Veltroni a Marco Follini.
Nessuna novità , rispetto alle previsioni, in fatto di date. Ogni Regione sceglierà  (in base a quelli che un pò vagamente qualcuno ha definito «usi e costumi delle realtà  territoriali») se si voterà  sabato 29 o domenica 30 dicembre; ma la maggioranza sembra orientata sul 29. In realtà  molti avrebbero preferito spostare a gennaio l’appuntamento, per evitare il rischio defezioni da tombolate di fine anno e, soprattutto, in modo da lasciare più giorni per la raccolta delle firme necessarie ai «nuovi».
Invece, i tempi restano strettissimi. Il che non crea problemi ai parlamentari uscenti che non abbiano superato i 15 anni di mandato e che sono automaticamente ricandidabili alle primarie; mentre gli altri devono racimolare sottoscrizioni pari al 3%-5% degli iscritti pd alle federazioni provinciali di appartenenza, e già  sabato prossimo le direzioni provinciali selezioneranno chi potrà  correre alle primarie.
Non sono comunque candidabili — a meno che non ottengano una deroga specifica — i parlamentari europei, i sindaci dei Comuni superiori ai 5 mila abitanti, i presidenti di Municipi e Circoscrizioni delle città  metropolitane eletti direttamente, i presidenti di Provincia e di Regione, gli assessori e i consiglieri regionali in carica. E, per evitare ricorsi che possano annullare l’esito della consultazione di fine dicembre, il regolamento prevede una norma anti ricorsi: gli esclusi potranno rivolgersi solo agli organi del Pd e non alla magistratura.
Potranno votare alle primarie tutti gli iscritti al partito e chi ha partecipato alla consultazione del 25 novembre sul candidato premier di centrosinistra. Ogni elettore potrà  esprimere due preferenze, un uomo e una donna. Però questo non garantirà  poi una parità  di presenze femminili e maschili tra i candidati: in ogni Regione verrà  assicurato al genere meno rappresentato soltanto il 33% dei posti.


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