Attacco islamista nel sud, uccisi 16 guerriglieri

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La Thailandia meridionale, quella lingua di terra protesa verso il golfo, include tre province (Pattani, Yala e Narathiwat) che furono annesse al Siam (l’odierna Thailandia) oltre un secolo fa. Da allora registrano la ribellione di gruppi indipendentisti locali: la regione, infatti, è caratterizzata da una diversità  etnico-religiosa, rispetto alla società  thailandese, che ha acuito i sentimenti di estraneità  alla nazione. I militanti sono una minoranza di religione islamica e in passato hanno portato attacchi a famiglie e templi buddisti che rappresentano, invece, la maggioranza nella nazione. La popolazione locale lamenta l’abbandono del governo centrale e soffre discriminazione e violenza da parte della polizia e delle autorità  civili, impegnate a mantenere l’ordine.
Secondo stime ufficiali, il conflitto a bassa intensità  che non cessa di alimentarsi – uno di quelli latenti, che di rado giungono alla ribbalta delle cronache – ha fatto oltre 5.000 vittime e si era riaccesso all’improvviso nel 2004, placato poi dal rafforzamento delle misure di sicurezza e delle azioni militari dell’esercito regolare thai.
Quello di ieri è dunque un attacco che, secondo il generale Pramote Phromin, portavoce del Comando Operazioni di Sicurezza Interna, rappresenta un rigurgito di ribellione che da anni non si verificava. Sembra che i militari abbiano potuto respingere le folate dei militanti grazie a un difesa puntuale, organizzata dopo la soffiata ricevuta da alcuni informatori locali.
Diversamente, l’azione dei guerriglieri avrebbe potuto avere ben altro esito. Tre giorni fa, infatti, cinque soldati sono stati uccisi da militanti in un attentato avvenuto a Yala, provincia confinante. E la polizia locale ha registrato, nell’ultimo mese, altri attentati che hanno suggerito al governo locale di imporre un coprifuoco in alcune parti della regione, come ha riferito il vice primo ministro Chalerm Yubamrung.
Secondo Sunai Phasuk, ricercatrice dell’ufficio thailandese dell’Ong Human Rights Watch, ha spiegato che «gli insorti sono in aumento e continueranno a combattere per l’autonomia e per attirare l’attenzione del governo di Bangkok», che sembra ignorare le loro rivendicazioni. D’altro canto, gli insorti non hanno chiarito o dato forma, nel corso degli anni, alle ragioni della ribellione armata, creando, organizzazioni o movimenti strutturati che possano essere presenti nella società  e nella politica. Amnesty International, nel recente rapporto annuale, ha chiesto ai ribelli di porre fine agli attacchi contro la popolazione civile, denunciando «attacchi deliberati contro obiettivi vulnerabili», come agricoltori, insegnanti, studenti, leader religiosi e funzionari pubblici. Amnesty ha definito queste azioni «crimini di guerra» segnalando, d’altro canto, casi di torture compiute dai soldati sui militanti.


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