In Ucraina «la legge anti-proteste cambierà»

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Fermo imma­gine in ulica Gru­she­v­skogo, la via a metà strada tra piazza dell’Indipendenza e lo sta­dio della Dinamo Kiev. Da una parte i reparti della sicu­rezza; dall’altra i duri e puri della pro­te­sta, com­presi i gruppi vio­lenti di destra. In mezzo una for­ti­fi­ca­zione tirata su con qual­siasi cosa, com­presi pneu­ma­tici. I dimo­stranti li bru­ciano (si tratta anche di scal­darsi, la tem­pe­ra­tura è a –15) e si levano dense colonne di fumo. L’altro giorno è stata san­cita una tre­gua, che pare durare. I foto­grammi sono variati invece in piazza dell’Indipendenza, la sede della pro­te­sta non vio­lenta, pre­si­diata da più di due mesi. Ieri i dimo­stranti hanno spo­stato in avanti le loro bar­ri­cate, supe­rando il peri­me­tro della spia­nata. «Piazza dell’Indipendenza è un’isola di libertà e ne espan­de­remo i limiti fin­tanto che non ver­remo ascol­tati», ha soste­nuto Vitali Klitschko.

L’«andare all’attacco» evo­cato l’altro giorno dall’ex pugile, che tra gli espo­nenti dell’opposizione è quello che più ci sta met­tendo la fac­cia assume un signi­fi­cato più chiaro. E si lega alle trat­ta­tive in corso con Yanu­ko­vich: l’opposizione vuole con­qui­stare posi­zione nego­ziali di forza.
Quello che sta acca­dendo nell’ovest del paese, prin­ci­pale bacino di voti dei par­titi anti-Yanukovich, potrebbe por­tare acqua al mulino. A Leo­poli è stata occu­pata la sede del governo regio­nale. A Ivano-Frankivsk, Lutsk, Rivne, Ter­no­pil, Cher­ni­v­tsi e altre città si regi­strano pic­chetti davanti ai palazzi dei gover­na­tori, nomi­nati dalla presidenza.

Ma non è chiaro se que­sta tat­tica sia stata con­cer­tata con Kli­tschko e i respon­sa­bili di Euro­mai­dan, il nome che il movi­mento di piazza dell’Indipendenza s’è dato sin dall’inizio delle mani­fe­sta­zioni. Que­ste ini­zia­tive potreb­bero essere mosse dalla volontà di agire senza aspet­tare i nego­ziati tra oppo­si­zione e Yanu­ko­vich. C’è infatti un seg­mento della pro­te­sta — ormai è il caso di chia­marla rivo­lu­zione — che si è sin­to­niz­zata su posi­zioni più movimentiste.

Lo dimo­stra l’occupazione del mini­stero dell’agricoltura, avve­nuta ieri a opera di Spilna Sprava (Causa comune), gruppo che ha già dato noti­zia di sé in pas­sato moni­to­rando pro­cessi elet­to­rali e orga­niz­zando flash mob. Il suo numero uno, Olek­sandr Dany­lyuk, ha annun­ciato altre prese di altri palazzi, accu­sando l’opposizione di immobilismo.

E Yanu­ko­vich che fa? L’uso della forza, con le due vit­time lasciate sul ter­reno nel corso dell’offensiva dei reparti spe­ciali dell’interno, oltre a una terza ritro­vata alle porte di Kiev, l’hanno scre­di­tato. E il ten­ta­tivo di asso­ciare gli scal­ma­nati di ulica Gru­she­v­skogo alla gente di Euro­mai­dan non è riu­scito. Al momento l’opzione repres­siva sem­bra dun­que con­ge­lata. Yanu­ko­vich non intende cedere alle richie­ste delle oppo­si­zioni: via il governo, pre­si­den­ziali entro la fine dell’anno anzi­ché nel 2015 e azze­ra­mento delle «leggi anti-protesta» appro­vate la scorsa set­ti­mana, che con­fi­gu­rano una svolta autoritaria.

Il capo dello stato ha spie­gato che pro­prio su que­ste leggi potrebbe esserci un’apertura. Ha pro­po­sto di emen­darle — cosa diversa dalla revoca — nel corso della ses­sione del par­la­mento sulla crisi, con­vo­cata mar­tedì. Lo stesso giorno dovrebbe annun­ciare un rim­pa­sto. Solu­zioni cosme­ti­che, rispetto a quelle pre­tese dall’opposizione. Volu­ta­mente cosme­ti­che, viene da dire. Per­ché Yanu­ko­vich, offrendo le bri­ciole, potrebbe pun­tare a inner­vo­sire il campo oppo­sto ren­den­done più pro­fonde le frat­ture, oltre a ridare ben­zina ai tep­pi­sti di ulica Gru­she­v­skogo e a chi, in pro­vin­cia, sta asse­diando i gover­na­to­rati. Se il gioco dovesse fun­zio­nare ver­reb­bero a ricrearsi le con­di­zioni per inter­ve­nire con durezza a Kiev e si potrebbe sof­fiare con vigore sulla tesi, già bran­dita in que­ste ore, della voglia di seces­sione dell’ovest.

Dall’altra parte del paese, a est, dove il Par­tito delle regioni di Yanu­ko­vich raci­mola il grosso dei voti, emer­gono spinte con­trap­po­ste. Le auto­rità della Cri­mea chie­dono l’applicazione dello stato di emer­genza e quelle di Done­tsk, la regione di cui il pre­si­dente è ori­gi­na­rio, stanno cer­cando di chiu­dere Novyny Don­bassa, testata non tenera nei loro confronti.

Nel frat­tempo, ieri, Yanu­ko­vich ha rice­vuto il com­mis­sa­rio euro­peo all’allargamento Ste­fan Fuele. Il peso che l’Ue può met­tere nella solu­zione della crisi ucraina sem­bra limi­tato. Bru­xel­les non ha incen­tivi da offrire, dato che a novem­bre Kiev ha scar­tato gli Accordi di asso­cia­zione e scelto di orien­tare il bari­cen­tro su Mosca, che ha con­cesso pre­stiti e sconti sul gas pesanti. E poi è evi­dente che la ver­tenza ucraina non si gioca più su una scelta inter­na­zio­nale — più Europa o più Crem­lino — ma si tra­duce nel con­fronto tra un uomo che vuole restare attac­cato al potere e un pezzo di popolo che vuole cacciarlo.


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