Che fine hanno fatto i sostenitori dell’austerity?

Che fine hanno fatto i sostenitori dell’austerity?

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Fateci caso: non ne trovi più uno che difenda l’austerity. È in virtù dello stesso mec­ca­ni­smo per cui oggi tutti si com­pli­men­tano con Sor­ren­tino senza neces­sa­ria­mente aver visto il film (tipo Alfano «Meri­tato Oscar a un film che rac­conta la deca­denza della poli­tica ita­liana»: mi ci sono pro­prio rivi­sto in que­sto «12 anni schiavo»). È così che il nuovo concetto-rifugio dei con­for­mi­sti è diven­tato «Il rigore non basta serve la cre­scita».
Lo ripe­tono mec­ca­ni­ca­mente gli stessi che si sper­ti­ca­vano in lodi per il rigo­ri­sta Monti, che tar­tas­sando pen­sio­nati e lavo­ra­tori diede sì impulso alla cre­scita ma delle ban­che (in banca da me quando c’era lui erano così esul­tanti che invece di farti fare la fila ti face­vano fare il tre­nino). Allora andava di moda osser­vare che ave­vamo vis­suto al di sopra delle nostre pos­si­bi­lità e che dove­vamo tagliare la spesa pub­blica, con­vin­zione ali­men­tata dalle inchie­ste sullo sper­pero di denaro da parte di alcuni poli­tici (l’ultima: For­mi­goni ha speso 243 euro di soldi pub­blici per fare cola­zione con Vit­to­rio Fel­tri. Due­cen­tro­qua­ranta euro per una cola­zione?! E che cavolo, toglie­tele que­ste slot dai bar!).Dopo che due anni di auste­rità e sacri­fici hanno pro­dotto un aumento della reces­sione e por­tato la disoc­cu­pa­zione ai mas­simi sto­rici ci si è affret­tati a pre­ci­sare, come ha ha fatto Napo­li­tano, che «Rigore e cre­scita sono com­pa­ti­bili» (detto da uno che ritiene com­pa­ti­bili cen­tro­de­stra e cen­tro­si­ni­stra…). E quindi, se la Com­mis­sione Euro­pea retro­cede l’Italia per debito ecces­sivo e chiede «prov­ve­di­menti con­tro la scarsa pro­dut­ti­vità e com­pe­ti­ti­vità», ci si affretta a tra­durre «L’Ue chiede cre­scita e lavoro». E chi legge si con­forta, pen­sando alla cre­scita come miglio­ra­mento delle con­di­zioni eco­no­mi­che di chi in que­sti anni ha pagato la crisi e al lavoro come a un’occupazione sicura con un sala­rio decente, men­tre la ricetta per aumen­tare la pro­dut­ti­vità e la com­pe­ti­ti­vità sug­ge­rita da Bru­xel­les è quella già impo­sta alla Gre­cia: con­tra­zione dei salari per abbas­sare il costo del pro­dotto e ridu­zione delle tutele dei lavo­ra­tori per attrarre gli inve­sti­menti.
Quanto alla ridu­zione del debito, per Bru­xel­les passa per la strada già intra­presa da Monti e Letta: taglio alla spesa e pri­va­tiz­za­zioni. Come in Gre­cia, dove in osse­quio a Bru­xel­les hanno pri­va­tiz­zato così tanto che il fre­gio del Par­te­none raf­fi­gura la sirena con due code di Starbucks.
Inu­til­mente gli eco­no­mi­sti defi­niti «cri­tici» (dagli eco­no­mi­sti acri­tici), quelli che erano con­tro l’austerità prima che lo diven­tas­sero anche gli altri, fanno notare che non serve aumen­tare la pro­dut­ti­vità in un paese dove la domanda rista­gna per­ché crol­lano i red­diti e i salari (sarebbe anche bello com­prare più beni e ser­vizi, ma con quali soldi?), e che per uscirne biso­gne­rebbe piut­to­sto soste­nere i red­diti bassi e creare posti di lavoro con un inter­vento diretto dello Stato. Pas­sano per visio­nari para­noici, salvo che tra un paio d’anni tro­ve­remo gli stessi fau­tori del taglio del cuneo fiscale a van­tag­gio delle imprese pronti ad ammet­tere che sì, in effetti in Ita­lia è in crisi la domanda. E se è in crisi la domanda, figu­ria­moci la risposta.


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