L’istruzione, un’arma contro la guerra e per un futuro di pace

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Nel mondo sono oltre 43 milioni i minori che non possono andare a scuo

ROMA – Un’arma affilata e tagliente. Un’arma contro la guerra, un’arma per garantire un futuro di pace. In quei paesi che vivono o hanno appena vissuto un conflitto, quest’arma è la scuola, l’istruzione, l’educazione. Permettere ai bambini di andare a scuola è riscrivere il loro futuro, è restituire a ciascuno di essi la speranza nell’avvenire. Consentire tutto questo spetta ai governi, alle istituzioni, alla società civile, anche e soprattutto nei contesti segnati dalla guerra e dalla violenza. A Roma, in un convegno internazionale, Save the Children, l’organizzazione indipendente per la difesa e la promozione dei diritti dell’infanzia, presenta esperienze e modalità di intervento, avanza richieste concrete alle organizzazioni internazionali e al governo italiano, e rilancia obiettivi a medio e lungo termine. In tutto il mondo sono oltre 43 milioni i minori che non possono andare a scuola perché vivono in aree di guerra: sono destinati ad entrare a far parte di truppe irregolari come bambini soldato, ad alimentare il traffico di minori a livello mondiale o semplicemente a sopravvivere senza alcuna prospettiva di riscatto per l’avvenire. “E’ una tragedia umanitaria immane”- denuncia Maurizia Iachino, presidente di Save the Children Italia – “di fronte alla quale governo italiano ed istituzioni internazionali fanno troppo poco”. “Di questo passo” – continua – “l’obiettivo di assicurare una educazione primaria a tutti i bambini entro il 2015” (obiettivo fissato nella Dichiarazione del Millennio sottoscritta nel 2000 dai grandi della terra) “non sarà raggiunto. E questo non è tollerabile, perché significa condannare milioni di bambini ad un futuro senza speranza”. “L’istruzione è essenziale ovunque per garantire un progetto esistenziale” – ha insistito Maria Pia Garavaglia, vicesindaco del Comune di Roma, che ha ospitato il convegno nella sala della Protomoteca del Campidoglio: “Colui che sa, può decidere, pretendere, promuovere, può essere padrone della propria vita. Raggiungere questo obiettivo non è solo un dovere morale, ma anche un nostro interesse, perché se i bambini di tutto il mondo non verranno messi in condizione di imparare, nei nostri paesi assisteremo a tante tragedie importate. Pagheremo caro cioè il nostro egoismo e il nostro disinteresse”. Problemi, ma anche soluzioni. E così Save the Children chiede ai paesi donatori di accrescere le risorse e i finanziamenti per lo sviluppo, domanda alle organizzazioni internazionali di includere l’educazione fra gli interventi immediati in caso di missioni umanitarie, e invita il governo italiano di rispettare l’impegno assunto di devolvere agli Aiuti Ufficiali allo Sviluppo lo 0,70% del Prodotto interno lordo. Attualmente, secondo il Rapporto di Save the Children “Educazione per i bambini in paesi in conflitto” ai minori che vivono nei 30 paesi dove è in corso una guerra va meno di un terzo degli aiuti per l’educazione destinati ai paesi a basso reddito; ancora peggiore la situazione degli interventi di emergenza umanitaria, che destinano solo il 2% delle loro risorse a progetti ed attività educative. “Occorre mutare radicalmente mentalità” – osserva il direttore generale di Save the Children Italia, Valerio Neri: “Finora i donatori sono stati restii ad indirizzare denaro in contesti caratterizzati da insicurezza e instabilità nei canali di erogazione degli aiuti. Sono però proprio i bambini di questi paesi ad avere maggior bisogno di aiuto: è compito nostro allora interrompere il circolo vizioso per cui proprio a chi sta peggio va la quota minore di finanziamenti e il minor supporto”. Per quanto concerne l’Italia, il nostro paese figura all’ultima posto della classifica Ocse dei paesi donatori: nel 2005 solo lo 0,29% del Pil è stato destinato agli aiuti allo sviluppo, contro lo 0,36% della media europea e lo 0,70% più volte indicato come obiettivo. La richiesta è dunque, per quanto possibile, quella di dare un segnale di interesse in tal senso già a partire dalle decisioni definitive che dovranno essere assunte in sede di legge finanziaria. E’ grande l’enfasi sul concetto di interdipendenza fra nord e sud del mondo, è forte la consapevolezza che i paesi fragili necessitano di fiumi di denaro maggiori e di tempi più lunghi per poter costruire istituzioni scolastiche forti e durature. Dove questo è stato fatto, i risultati sono evidenti, anche in contesti difficili come l’Afghanistan: la costruzione di decine di scuole – è stato detto – è forse il maggior risultato operativo raggiunto dalla comunità internazionale in seguito alla guerra che ha deposto il regime dei talebani. L’impegno della sezione italiana di Save the Children si concentra operativamente nel sud del Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo, mentre a livello mondiale l’obiettivo dell’organizzazione è quello di fornire educazione di qualità a otto milioni di bambini nei paesi in guerra o post conflitto entro il 2010. Per fare questo, in 40 paesi è stata lanciato il mese scorso il progetto “Ricostruiamo il futuro”. Per sostenere finanziariamente il programma nel nostro paese cono in corso due iniziative: “Sms solidale”, attivo fino al 31 ottobre (si dona 1 euro inviando un Sms al 48587 da cellulari Tim, Vodafone, 3 e Wind o 2 euro chiamando il 48587 da telefono fisso Telecom), “Le piante insegnano” (sabato 7 e domenica 8 in oltre 500 piazze d’Italia con una donazione minima di 15 euro sarà possibile portare a casa una pianta di bromelia e finanziare i progetti dell’organizzazione). (Stefano Caredda)

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