Il sangue innocente di Gaza

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Basel Shu­hai­bar è ancora vivo. Ma la sua esi­stenza è cam­biata per sem­pre. Fino a due giorni fa era un bam­bino come tanti altri, felice, rac­con­tano i parenti, pronto a gio­care con amici e cugini davanti casa. Poi tre mis­sili sgan­ciati da un jet israe­liano su un palazzo di tre piani di Sabra hanno messo fine ai gio­chi, ai sor­risi, al diver­ti­mento. Ora Basel, 10 anni, è steso su di un letto del reparto di tera­pia inten­siva dell’ospedale «Shifa»: intu­bato, avvolto nelle bende, con frat­ture gravi alle gambe e al brac­cio destro. «È sedato, ora non sente dolore – spiega un medico – abbiamo dovuto lot­tare per tenerlo in vita ma si è sta­bi­liz­zato e potrà farcela».

Nel letto accanto giace, avvolto in una ragna­tela di cavi e tubi attac­cati alle mac­chine della tera­pia inten­siva, un gio­vane di 20 anni, Ahmed, giunto qual­che ora prima da Deir al Balah. Le sue con­di­zioni sono dispe­rate, il suo corpo è pieno di fram­menti di metallo che lo hanno col­pito ovun­que quando un carro armato ha fatto fuoco sulla sua abitazione.

Se tutto andrà per il meglio Basel Shu­hai­bar dovrà sot­to­porsi a lun­ghe tera­pie ria­bi­li­ta­tive, forse non recu­pe­rerà l’uso com­pleto del brac­cio, le frat­ture sono molto gravi. Ma è vivo, rin­gra­zia Dio uno zio che gli sta accanto. Per i suoi pic­coli cugini Jihad, Wasim e Fulla, invece la vita è finita l’altro giorno, poco dopo la sca­denza della «tre­gua uma­ni­ta­ria», quando l’aereo israe­liano, forse un drone, ha sgan­ciato i suoi mis­sili. Il giorno prima altri quat­tro bam­bini pale­sti­nesi della fami­glia Bakr erano stati uccisi sulla spiag­gia di Gaza city da colpi spa­rati dalla Marina israe­liana per motivi che restano oscuri. «L’uccisione di quat­tro bam­bini pale­sti­nesi, tutti della stessa fami­glia allar­gata, e il feri­mento di altri due tutti men­tre gio­ca­vano su una spiag­gia è un duro monito che nes­sun luogo è più sicuro per i bam­bini di Gaza.

Sem­pre ieri una serie di razzi sono stati tro­vati nasco­sti in una scuola dell’Unrwa, in spre­gio alla neu­tra­lità delle scuole», ha pro­te­stato ieri Maria Cali­vis, respon­sa­bile per il Medio Oriente e l’Africa del Nord per l’Unicef, sot­to­li­neando che il numero di bam­bini uccisi a Gaza «è arri­vato almeno a 48 da quando le osti­lità sono ini­ziate solo dieci giorni fa. In media, ogni giorno quat­tro bam­bini sono stati uccisi». Defence for Chil­dren International-Palestina rife­riva ieri che il bilan­cio di minori morti nell’offensiva mili­tare in corso, è il più alto dai tempi dell’operazione «Piombo Fuso» che pro­vocò la morte di 352 bambini.

Ieri è stata un’altra gior­nata in cui è stato sparso san­gue inno­cente. Tre ragazzi fra 12 e 16 anni sono stati uccisi dal fuoco dell’artiglieria israe­liana all’ interno di un appar­ta­mento delle Torri al-Nada, non lon­tano dal valico di Erez con Israele. Qual­che ora prima un bimbo di pochi mesi era morto in un bom­bar­da­mento. Dalle 22 di gio­vedì alle 20 di ieri sono stati uccisi 33 pale­sti­nesi. Dall’8 luglio i morti sono stati almeno 274, due­mila i feriti.
La mag­gior parte delle vit­time ieri si sono regi­strate a Khan Yunis, Rafah, nel nord-est di Gaza dove da gio­vedì è in corso «l’offensiva di terra» dell’esercito israe­liano. In realtà si tratta più di incur­sioni a cavallo della «buf­fer zone» sul ver­sante pale­sti­nese della Stri­scia dove, spie­gano i comandi mili­tari, truppe scelte e reparti coraz­zati hanno distrutto in 24 ore una ven­tina di gal­le­rie sot­ter­ra­nee e ucciso, pare, 20 com­bat­tenti di Hamas (altri 13 sareb­bero stati arre­stati) che resi­stono ai raid dei com­mando israeliani.

Il pre­mier israe­liano Neta­nyahu ieri ha riba­dito che l’offensiva, se neces­sa­rio, sarà ulte­rior­mente allar­gata. E que­ste parole hanno aggra­vato l’allarme tra le orga­niz­za­zioni uma­ni­ta­rie e le ong. Ormai a Gaza è emer­genza sfol­lati. Gio­vedì migliaia di civili pale­sti­nesi di Sha­ja­ieh e Zai­tun, hanno abban­do­nato le loro case e sono fug­giti in preda al panico quando l’artiglieria e i mezzi coraz­zati israe­liani hanno comin­ciato a mar­tel­lare tutta la loro zona (col­pito anche l’ospedale al Wafa, costretto all’evacuazione). Spe­ra­vano di rima­nere nelle loro case ma hanno capito che rischia­vano di morire sotto le cannonate.

Si sono diretti verso le scuole dell’Unrwa, già colme di sfol­lati giunti a ini­zio set­ti­mana del nord di Gaza. In poche ore i pale­sti­nesi costretti ad abban­do­nare le abi­ta­zioni sono pas­sati da 22 a 40 mila. Dagli alto­par­lanti dei mina­reti di tutta Gaza, ieri in occa­sione del ser­mone isla­mico venerdì, sono uscite esor­ta­zioni a resi­stere, ad essere forti.

A Jaba­lya la gente ha attuato di sua volontà una «tre­gua uma­ni­ta­ria» incu­rante dei carri armati israe­liani posi­zio­nati a un km di distanza. Hamas da parte sua non cede, con­ti­nua a lan­ciare decine di razzi ogni giorno che ten­gono sotto pres­sione cen­ti­naia di migliaia di israe­liani, anche a Tel Aviv. Il movi­mento isla­mico si oppone alla «tre­gua per la tre­gua» e insi­ste che la calma tor­nerà sol­tanto quando sarà tro­vata una intesa ampia che migliori sen­si­bil­mente la con­di­zione di chi vive a Gaza sotto asse­dio israe­liano ed egi­ziano. Hamas cerca inol­tre il dia­logo diretto con il Cairo che però non rie­sce ancora ad otte­nere. Ieri sera era pre­vi­sta una riu­nione del Con­si­glio di Sicu­rezza dell’Onu ma pochi cre­dono che dal Palazzo di Vetro uscirà la solu­zione alla crisi.

Così come dall’impegno ame­ri­cano che, in ogni caso, è sbi­lan­ciato a favore di Israele. Barack Obama ieri ha riba­dito il diritto di Israele a «difen­dersi». «Nes­sun paese può accet­tare che razzi siano spa­rati ai suoi con­fini», ha detto il pre­si­dente ame­ri­cano rife­rendo del col­lo­quio tele­fo­nico che aveva avuto con Neta­nyahu. Obama deve anche con­si­de­rare che nes­sun popolo può vivere per decenni sotto una dura occu­pa­zione senza aspi­rare alla dignità, alla libertà e all’indipendenza.

Obama potrebbe pro­teg­gere un po’ di più anche la libertà di pen­siero nel suo paese. La Cnn ha rimosso la cor­ri­spon­dente che seguiva il con­flitto israelo-palestinese dopo il tweet della gior­na­li­sta nel quale defi­niva «fec­cia» un gruppo di israe­liani che esul­ta­vano per i bom­bar­da­menti con­tro Gaza. Gio­vedì Diana Magnay era in col­le­ga­mento da una col­lina nei pressi di Sde­rot che domina il con­fine fra Israele e Gaza e men­tre dava un aggior­na­mento sugli ultimi eventi, un gruppo di israe­liani ha esul­tato quando ha visto le esplo­sioni a Gaza. Dopo il col­le­ga­mento, la gior­na­li­sta ha twit­tato: «Israe­liani sulla col­lina sopra Sde­rot esul­tano men­tre le bombe cadono su Gaza; minac­ciano di distrug­gere la nostra auto se dico una parola sba­gliata. Feccia».



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