I manipolatori del diritto

I manipolatori del diritto

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Tabù, fetic­cio, cascame ideo­lo­gico… Con agget­tivi di tal tipo, i can­tori e i cori­sti del capi­ta­li­smo neo­li­be­ri­sta defi­ni­scono l’articolo 18 della legge 20 mag­gio 1970, n. 300 recante «Norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavo­ra­tori». È l’articolo che pre­vede il rein­te­gro nel posto di lavoro di chi è stato licen­ziato senza giu­sta causa. Ribat­tere ai sud­detti apo­lo­geti del potere padro­nale nei luo­ghi di lavoro (ed anche fuori di que­sti luo­ghi) è inu­tile. Ma riflet­tere sul diritto che rico­no­sce quell’articolo e gri­darne il signi­fi­cato ed il valore è doveroso.

Ed è dove­roso dimo­strare, rive­lare, indi­care che cosa si nega e si vuole sop­pri­mere con l’articolo 18. Qual è il nemico che Renzi com­batte, per conto pro­prio e dei suoi esi­genti ispi­ra­tori delle isti­tu­zioni euro­pee. Per obiet­tivi pro­pri e nell’interesse della Con­fin­du­stria ita­liana. È dove­roso dire come e da che parte si col­lo­cano i seguaci che Renzi ha arruo­lato con fun­zioni di pro­te­zione o di ese­cu­zione nelle isti­tu­zioni della Repub­blica e che cosa sosten­gono i pro­fes­sio­ni­sti della mani­po­la­zione per­ma­nente dell’opinione pub­blica. A che punto di misti­fi­ca­zione si giunge affer­mando che per assi­cu­rare lavoro vanno abro­gati i diritti dei lavo­ra­tori, sot­to­po­nen­doli alla intan­gi­bi­lità del domi­nio, alla dispo­ni­bi­lità dell’arbitrio.
Rein­te­grare il lavo­ra­tore nel posto di lavoro è attua­zione netta e sicura, anche se par­ziale, del diritto al lavoro rico­no­sciuto dall’articolo 4 della Costi­tu­zione tra i prin­cipi fon­da­men­tali dell’ordinamento repub­bli­cano. Di quei prin­cipi che si pon­gono alla base di una comu­nità a forma-stato come sua ragion d’essere e che devono resi­stere a qual­siasi altra nor­ma­tiva, a qual­siasi potere, a qual­siasi esi­genza. So bene che richia­marsi alla Costi­tu­zione, elusa e vio­lata più volte con insi­stenza per­va­siva negli appa­rati poli­tici della Repub­blica, non è più argo­mento deci­sivo imme­diato. È comun­que un’arma da bran­dire come Carta dei diritti da rispet­tare, eser­ci­tare e da imporre come è in ogni Paese civile un diritto rico­no­sciuto da legge. È infatti dalla mag­giore delle leggi, da quella a cui sono sot­to­po­ste tutte le altre, il diritto che attua la nor­ma­tiva dell’articolo 18 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori. Un’arma quindi ancora più forte di quella che offre ogni legge che san­ci­sca un diritto.
Il con­te­nuto, la por­tata, il signi­fi­cato del diritto che l’articolo 18 prova ad attuare, rileva al mas­simo di una norma giu­ri­dica. Attiene alla con­di­zione umana nei luo­ghi di lavoro e quindi nella società.
Per­ché libera la lavo­ra­trice e il lavo­ra­tore dall’arbitrio del datore di lavoro, quell’arbitrio che, con l’incombenza del licen­zia­mento ad libi­tum, dispor­rebbe in asso­luto delle con­di­zioni di vita di un essere umano. Libera la lavo­ra­trice ed il lavo­ra­tore nel solo modo pos­si­bile, quello di con­di­zio­nare, ridurre il potere del datore di lavoro. Applica, ese­gue, invera così il prin­ci­pio della limi­ta­zione del potere che il costi­tu­zio­na­li­smo sco­prì e dettò per la civi­liz­za­zione delle forme di con­vi­venza umana e come fonte della legit­ti­ma­zione dello stato con­tem­po­ra­neo.
Non è dubi­ta­bile che, al minimo, ogni forma di demo­cra­zia rico­no­sce come valori inde­fet­ti­bili la libertà e l’eguaglianza dei cit­ta­dini. Libertà ed egua­glianza che com­por­tano almeno qual­che grado di indi­pen­denza. Quella indi­pen­denza che scom­pare nel «rap­porto di lavoro dipen­dente». Limi­tare la dipen­denza del lavo­ra­tore subor­di­nato diventa allora l’unica pos­si­bi­lità di atte­nuare la con­trad­di­zione insa­na­bile tra capi­ta­li­smo e demo­cra­zia. A con­di­zione però che il limite sia esat­ta­mente quello del rico­no­sci­mento del diritto al lavoro attra­verso modi e forme ade­guate a ren­derlo cre­di­bile, ad assi­cu­rarne il digni­toso eser­ci­zio al mas­simo pos­si­bile della sua durata. L’articolo 18 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori svolge con­cre­ta­mente que­sta fun­zione. È un’arma della demo­cra­zia. A for­giarla non fu il bronzo, il ferro o l’acciaio, ma la ten­sione alla «tutela della libertà e dignità del lavoro». È una con­qui­sta di civiltà. La si vuol rinnegare.



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