Arin, dall’università alle trincee «Noi, ragazze curde contro l’Isis»

Arin, dall’università alle trincee «Noi, ragazze curde contro l’Isis»

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MURSITPINAR (Frontiera turco-siriana) «Quei mostri ci vogliono umiliare. Minacciano di decapitare quelle tra noi che cadono prigioniere, perché dicono che i loro uomini uccisi nella cosiddetta guerra santa dalle donne nemiche non vanno in paradiso. Che stupidi! Che terribili stupidi e ignoranti Non sanno che comunque andranno tutti all’inferno?». Ride, ride di gusto Arin Mahmud Mohammad. Ha solo 19 anni, ma dal cellulare il timbro leggero della voce sembra molto più giovane, una bambina. Timida, allegra, eppure anche terribilmente seria. È in prima linea con le brigate dei curdi siriani che combattono in difesa della cittadina di Kobane. Da un mese resistono all’assedio dei guerriglieri jihadisti del cosiddetto Stato Islamico. «Li vedo tutti i giorni quei criminali. Sono ad un centinaio di metri dalla nostra postazione. Bestie che non hanno nulla di umano, che godono nel terrorizzare e torturare civili inermi e prigionieri. Sono animali: si muovono come animali, agiscono come animali», aggiunge.
A dire il vero Arin ci fa anche vergognare un poco. Noi qui al riparo, dietro i fili spinati del confine controllato notte e giorno dalle unità corazzate turche. E lei invece esposta sulle barricate che sorvegliano i quartieri sud-orientali, dove più profondamente sono penetrate le avanguardie jihadiste. Un anno fa ha abbandonato la facoltà di ingegneria edile all’università di Aleppo ed è tornata dalla famiglia a Kobane per battersi tra la sua gente. Per lunghi mesi si è addestrata all’uso delle armi. Come tante, si è anche data un nome di battaglia: Nesrin, una sorta di stella alpina del Medio Oriente. «I miei genitori e sei tra fratelli e sorelle sono profughi in Turchia. Da oltre un mese vivono nella cittadina di Soruch, a soli quindici chilometri dal confine. Ma mi sostengono pienamente, ci sentiamo spesso per telefono e sono fieri che io sia qui a difendere le nostre case». Non è facile però restare ben sapendo che il rischio è altissimo. A metà settembre erano un migliaio le donne soldato nell’enclave isolata di Kobane. Poi sono diminuite.«Adesso siamo rimaste in 450 combattenti del Ypj», specifica lei utilizzando l’acronimo che indica le «Unità di autodifesa femminili», in poche parole le donne soldato curde siriane, che sono trattate in tutto e per tutto al pari dei commilitoni maschi. Combattono come loro, muoiono come loro. I jihadisti hanno diffuso sulla rete le foto di almeno tre sue compagne decapitate. Altre immagini mostrano soldatesse morte con le mimetiche insanguinate, i capelli lunghi trasformati in blocchi di polvere e fango, mischiate tra mucchi di cadaveri scomposti. Il momento più pericoloso? «È stato venerdì scorso. Ero con la mia unità nel nostro quartier generale in pieno centro, quando siamo stati attaccati a colpi di mortaio. Ho visto morire dodici compagni, altri quindici erano feriti gravi. Siamo riusciti a scappare. Dopo esattamente 25 minuti i caccia americani hanno bombardato, distruggendo l’intero edificio».
Tuttavia, ieri Arin-Nesrin aveva ben motivo per essere sollevata. «Ormai da tre giorni è evidente che i raid aerei americani assieme agli alleati hanno finalmente fermato l’avanzata dello Stato Islamico su Kobane. Non so quanto durerà. Ma adesso il nostro morale è molto migliore che non la settimana scorsa. Ho visto le bombe americane distruggere con precisione i carri armati e i cannoni che stavano per ucciderci tutti. Noi curdi siamo passati dalla difesa all’attacco. E abbiamo ricevuto cibo e acqua in quantità sufficienti per tre mesi», ci ha detto. A riprova ci fa avere la foto di lei assieme ad alcuni commilitoni ripresa da una compagna due o tre giorni fa nei pressi della sommità della collina di Mishtanur, che domina da sud tutta la cittadina. Quando due settimane orsono i jihadisti vi avevano piantato sulla cima la loro bandiera nera, Kobane era stata data per spacciata. Ora anche Arin col suo sorriso semplice e disarmante è lì, di guardia.
Lorenzo Cremonesi



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