Diffamazione, ecco il bavaglio per i giornali anche on line multe fino a 50 mila euro

Diffamazione, ecco il bavaglio per i giornali anche on line multe fino a 50 mila euro

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ROMA . Lesti nel portare al voto una legge sulla diffamazione che metterà il bavaglio alla stampa e alle testate online. Lenti, anzi lentissimi, nel decidere chi mandare alla Corte costituzionale e al Csm. Doveva essere domani il giorno buono, così avevano garantito il Pd e Forza Italia, ma ecco all’improvviso un nuovo rinvio. Niente più seduta, se ne riparla chissà quando. Invece sulla diffamazione non si perde tempo. C’è voglia di regolare i conti con i giornalisti, anche con quelli che lavorano nelle testate online. Soprattutto quelli, tant’è che al Senato — dove oggi alle 11 si vota il testo che per fortuna dovrà tornare alla Camera — viene accolto un emendamento dei pentastellati (Fucksia, Airola, Buccarella, Cappelletti, Giarrusso) per cui «anche le testate giornalistiche online», in caso di diffamazione, dovranno pagare una multa fino a 10mila euro. Se l’offesa «consiste nell’attribuzione di un fatto determinato falso» la multa va da 10mila a 50mila euro.
Certo, non c’è più il carcere, «e questo è indubbiamente un passo avanti», come dice il Pd Felice Casson. Anche se non viene accolta la sua proposta di depenalizzare tutto, di cancellare proprio la diffamazione come reato e prevedere al suo posto una sanzione civile. Invece non solo il delitto resta, ma si aggrava la sanzione economica e soprattutto si affermano due principi con cui, a questo punto, dovrà rifare i conti Montecitorio: un meccanismo di rettifica estremamente rigido, praticamente capestro per i mezzi di informazione di qualsiasi tipo, carta stampata, tv, testate online, che non potranno esimersi dal pubblicare le smentite «senza commento, senza risposta, senza titolo », ma solo sotto l’indicazione «Rettifica» a caratteri cubitali. Entra pure il diritto all’oblio che, come dicono gli esperti delle leggi sull’informazione, come l’avvocato Katia Malavenda, «non c’entra giuridicamente nulla con la diffamazione». Invece eccolo lì, all’articolo 3: «L’interessato può chiedere l’eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge». In caso di «morte dell’interessato gli eredi possono esercitare lo stesso diritto». Unica nota positiva è che saranno punite le liti e le querele «temerarie », quelle di chi chiede un importo pesante pur sapendo che la richiesta di diffamazione è debole. Casson presenta un emendamento che viene approvato. Oggi il Senato chiude sul testo.
Sulla Consulta invece siamo sempre in alto mare. Solo grazie alla tempestiva nomina di Napolitano, la Corte non resta con soli 11 giudici. In aggiunta Grillo mette in crisi pure l’apertura di Renzi («gli diamo il posto al Csm e in cambio loro votato i giudici della Corte»). Sul blog il leader di M5s ribalta il tavolo, chiede trattative «solo alla luce del sole», niente patti segreti, «Renzi faccia i suoi nomi pubblicamente, trasparenza è quello che chiediamo, non poltrone, altrimenti saranno altre fumate nere». Ma i nomi del Pd ancora non ci sono. Una donna si dice. Anche se il caso Violante non è ancora chiuso, c’è un pressing su di lui perché si faccia ufficialmente da parte, per evitare che chi lo sponsorizzava continui a farlo facendo fallire qualsiasi altro progetto. Un pasticcio, in cui Renzi incontra i capigruppo di Camera e Senato Speranza e Zanda, gli delega la questione, ma poi piglia su di sé l’ultima decisione sui nomi. A questo punto, di certo c’è solo che se parla tra una settimana.


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