Se il governo è gestito dalle imprese

Se il governo è gestito dalle imprese

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La frase («non ha il con­senso delle per­sone one­ste») rife­rita dal segre­ta­rio della Fiom al pre­si­dente del con­si­glio non è neces­sa­ria­mente inter­pre­ta­bile come figura di pre­te­rin­ten­zione nel senso che Lan­dini, fin­gendo di non voler dire , abbia inteso trarre l’ineluttabile dedu­zione «Renzi ha il con­senso dei diso­ne­sti». L’ autore ha poi chia­rito il suo reale pen­siero e que­sta scheg­gia della dia­let­tica poli­tica può dirsi ormai con­clusa e supe­rata. Gli eventi sulla Capi­tale del malaf­fare, pub­blico e pri­vato, impon­gono però di affron­tare uno degli aspetti della que­stione morale nel rap­porto tra poli­tica ed economia.

Cro­naca e sto­ria dimo­strano che i tito­lari del potere eco­no­mico non rispet­tano le regole la cui osser­vanza è impo­sta agli altri cit­ta­dini, sen­ten­dosi vin­co­lati in via pri­ma­ria dalle regole del mer­cato e del pro­fitto, pur se tal­volta si rive­lino incom­pa­ti­bili con quelle dallo Stato. Non è que­sta la sede per attin­gere ai notori e incon­te­stati numeri sull’evasione fiscale, sullo scio­pero degli inve­sti­menti in Ita­lia a favore di quelli nei para­disi fiscali e degli inferni della quasi-schiavitù , sullo stra­vol­gi­mento dell’ambiente, sulle pro­du­zioni nocive per dipen­denti interni e abi­tanti limi­trofi. Un dato inne­ga­bile è costi­tuito dal mode­sto impe­gno gover­na­tivo verso que­sti feno­meni tra­sgres­sivi, di imme­diato impatto sociale ed economico.

Al di là della que­stione morale, il pro­blema è il reale governo della società, gestito dalle imprese di più alta dimen­sione attra­verso piani di inve­sti­menti e/o disin­ve­sti­menti che non riguar­dano solo i loro azio­ni­sti, ma si risol­vono nella pia­ni­fi­ca­zione di tutta l’economia nazio­nale. Le scelte che i colossi pri­vati fanno a van­tag­gio o a svan­tag­gio di set­tori pro­dut­tivi e di aree ter­ri­to­riali danno vita alla poli­tica eco­no­mica che coin­volge, senza con­trolli e senza vin­coli, la vita e i con­sumi di tutti i cit­ta­dini, avendo la classe poli­tica com­pat­ta­mente abro­gato di fatto la disci­plina costi­tu­zio­nale dei rap­porti tra Stato ed eco­no­mia. L’art. 41 , nella totale igno­ranza e indif­fe­renza dei mul­ti­co­lori gover­nanti, sta­bi­li­sce che l’iniziativa eco­no­mica pri­vata è libera , ma «non può svol­gersi in con­tra­sto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicu­rezza, alla libertà, alla dignità umana . La legge deter­mina i pro­grammi e i con­trolli per­ché l’attività eco­no­mica pub­blica e pri­vata possa essere indi­riz­zata e coor­di­nata a fini sociali».

All’inizio degli anni Ses­santa, i lea­der della sini­stra socia­li­sta, cat­to­lica e laica (Ric­cardo Lom­bardi, Pasquale Sara­ceno, Ugo La Malfa, seguiti con inte­resse da Amen­dola), preso atto che la poli­tica eco­no­mica con­ti­nuava ad esser gestita da coloro che ne ave­vano avuto la dire­zione, prima, durante e dopo il fasci­smo, ela­bo­ra­rono e pro­po­sero, una pia­ni­fi­ca­zione demo­cra­tica, cioè un piano di dire­zione cosciente delle scelte finan­zia­rie e pro­dut­tive, con obiet­tivi e moda­lità, fun­zio­nali non all’esigenza di rea­liz­zare il mas­simo pro­fitto, ma «alla neces­sità di tra­sfor­mare il pro­cesso di espan­sione, man­te­nuto a tassi elevati,in un pro­cesso di svi­luppo equi­li­brato ed armo­nico», (Lom­bardi). L’aggettivo demo­cra­tico, legato al sostan­tivo pia­ni­fi­ca­zione indi­riz­zava la sua carica pole­mica sull’anarchia dei grandi mono­poli ed espri­meva il rico­no­sci­mento dell’ auto­nomo ruolo del sindacato(v. T. Nen­cioni, “Ric­cardo Lom­bardi nel socia­li­smo ita­liano” 1947–1963, Esi).

L’avvio della poli­tica della pia­ni­fi­ca­zione fu giu­sta­mente legato alla nazio­na­liz­za­zione dell’energia elet­trica, per esi­genze tec­ni­che (col­le­gare, con un’azienda uni­fi­cata, bacini idrici com­ple­men­tari per sta­gio­na­lità degli approv­vi­gio­na­menti e per diver­sità ter­ri­to­riale; esten­sione dell’energia al Mez­zo­giorno, pena­liz­zato dal mono­po­lio pri­vato) e politiche(limitare il sistema di potere che si era rami­fi­cato in borsa, nei gior­nali, nei par­titi, nel Par­la­mento). Il gover­na­tore della Banca d’Italia fu uno dei più duri oppo­si­tori alla nuova poli­tica rifor­mi­sta, oggetto anche di irri­sione, come ci ricorda Nen­cioni : «Ose­rei dire che la visione di Lom­bardi era leni­ni­sta :il mono­po­lio sta­tale avrebbe dovuto scri­mi­nare le tariffe, set­tore per set­tore, come stru­mento di pro­gram­ma­zione eco­no­mica coer­ci­tivo. Lom­bardi sognava di avere in mano le levette dei con­ta­tori elet­trici e chiu­derle a quelli che non lo meri­ta­vano», (p. 216).

Al di là dell’ironia, la Con­fin­du­stria e la destra demo­cri­stiana orga­niz­za­rono a que­ste riforme un’opposizione al di fuori di ogni regola costi­tu­zio­nale e penale e, gra­zie anche alla debo­lezza e mio­pia di Pie­tro Nenni, fecero nau­fra­gare, con il governo Moro del luglio 1964, ogni vel­leità inno­va­tiva nella sele­zione dei pro­ta­go­ni­sti della “stanza dei bottoni”.

Comun­que la nazio­na­liz­za­zione dell’energia elet­trica è avve­nuta con l’istituzione dell’Enel (legge del 1962) ed è inte­res­sante l’impegno dei governi del cen­tro sini­stra anti­le­ni­ni­sta nella sua de-nazionalizzazione, (il governo Amato con decreto legge 11.7.1992, tra­sforma l’Enel in Spa; il governo D’Alema, con decreto legi­sla­tivo 16.3.1999 — decreto Ber­sani — libe­ra­lizza il mer­cato elet­trico). Attual­mente, su uno dei mer­cati più libe­ra­liz­zati d’Europa, ope­rano circa 100 ope­ra­tori, essendo rima­sto azio­ni­sta di rife­ri­mento il mini­stero dell’economia con circa il 31%.

Posto che i mag­giori pro­ta­go­ni­sti della libe­ra­liz­za­zione dis­sen­nata dell’economia pub­blica (v. Tele­com Ita­lia) esi­bi­scono impu­di­che lacrime di coc­co­drillo e sosten­gono la nazio­na­liz­za­zione della salma dell’Ilva, si può paci­fi­ca­mente affer­mare che il fal­li­mento del rifor­mi­smo eco­no­mico (le famose ed invi­si­bili riforme di strut­tura) è dipeso non solo dall’intolleranza degli impren­di­tori per riforme che non si risol­vano in un amplia­mento dei livelli di spesa pub­blica, negli incen­tivi indi­scri­mi­nati e incon­trol­lati, nel per­dono di fatto e di diritto per l’evasione fiscale e per l’esportazione dei capi­tali e, da ultimo, nell’ampliamento dell’anarchia nelle assun­zioni e nei licen­zia­menti. Punto nodale è anche l’incapacità della sini­stra gover­na­tiva di man­te­ner ferma la sua iden­tità poli­tica e di con­trap­porre ai comandi e ai piani della classe impren­di­to­riale un pro­gram­mato inter­vento pub­blico, che si inse­ri­sca nella linea di svi­luppo del capi­ta­li­smo, intro­du­cen­dovi ele­menti di modi­fi­ca­zione capaci di spo­stare l’equilibrio di potere tra i ceti sociali.

Qui non c’è afflato gia­co­bino, non c’è estre­mi­smo, non c’è leni­ni­smo: c’è il comando della Costi­tu­zione a osser­vare l’uguaglianza dei cit­ta­dini e a garan­tire «l’effettiva par­te­ci­pa­zione di tutti i lavo­ra­tori all’organizzazione politica,economica e sociale del Paese». Non viene alcuna pro­spet­tiva di rin­no­va­zione da que­sto governo, il cui capo è stato insi­gnito dal col­lega della Con­fin­du­stria del titolo di garante e rea­liz­za­tore dei sogni degli indu­striali. Chi lavora ben sa che que­sti sogni, una volta esau­diti, pos­sono tra­sfor­marsi per occu­pati e disoc­cu­pati in realtà molto amare.



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Togliersi l’elmo è il gesto nel quale più mi identifico dentro quella contesa aspra e cruda con cui spesso si presenta a noi la politica. E in questa campagna elettorale che ancora appare, in tanti titoli di giornali o talk show televisivi, come un generale tentativo di fuga dalla realtà  piuttosto che un confronto di merito sulle concrete alternative in campo, sento un assillo crescere dentro di me. Rendere visibile alle donne e agli uomini di questo nostro paese qual è oggi la vera posta in gioco. Né guerrieri né eroi, dunque, men che meno, per me, nemici o traditori

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