Antiterrorismo, il Csm attacca il decreto

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ROMA . Falso in bilancio e prescrizione verso una settimana “positiva”. Ma si apre lo scontro tra Csm e governo sul decreto antiterrorismo e sopratutto sui poteri della Procura nazionale antimafia, che sta per diventare anche Procura nazionale antiterrorismo. Già mercoledì due commissioni di palazzo dei Marescialli, la sesta che valuta la congruità delle riforme, e la settimana che si occupa dell’organizzazione giudiziaria, voteranno un parere che suonerà assai critico sull’impianto del decreto. Non funzionano, in quel testo, né i poteri di coordinamento attribuiti all’ufficio di Franco Roberti, né tantomeno la regolamentazione dei rapporti tra la Superprocura e i servizi segreti. Questioni delicate, che determineranno il futuro effettivo di una struttura che da anni i magistrati impegnati nelle indagini sul terrorismo sollecitano, ma che a questo punto potrebbe nascere zoppa. Sarebbe un’occasione mancata che il nostro Paese non si può permettere soprattutto a fronte di un grave allarme internazionale per via del terrorismo islamico. La commissione Giustizia della Camera sta esaminando il decreto. Il Csm ha fatto altrettanto. Anche con un seminario di approfondimento in cui hanno sfilato sia i protagonisti dell’intelligence che i magistrati, tra cui ovviamente lo stesso capo della Superprocura Roberti. Adesso i presidenti delle due commissioni, l’ex gip di Palermo Piergiorgio Morosini per la sesta commissione, e l’ex pm di Napoli Antonello Ardituro per la settima, stanno già scrivendo il parere. Che mette in rilievo tre criticità. La prima riguarda l’effettivo coordinamento che la futura Superprocura antiterrorismo potrà avere nel rapporto con le polizie centrali. Di fatto essa non se ne po- trà avvalere direttamente. La mancanza di informazioni fresche e dirette rappresenta ovviamente un pesante vulnus sull’effettiva possibilità di coordinamento del nuovo ufficio.
Ma non basta. Ad aggravare la situazione c’è il capitolo dei futuri rapporti tra la Superprocura e gli 007. Qui, di fatto, l’ufficio di Roberti è tagliato fuori da un’interlocuzione diretta ed effettiva, perché il decreto ha affidato al procuratore generale di Roma il potere di autorizzare sia i futuri colloqui investigativi in carcere, sia il via libera alle intercettazioni preventive. Due “poteri” che Roberti rivendica per sé, per evitare che la Superprocura resti un ufficio più di rappresentanza che operativo. Ovviamente il parere del Csm, di cui si sta occupando anche il vice presidente del Csm Giovanni Legnini e che già mercoledì sarà votato in commissione, potrà avere un peso sul futuro dibattito parlamentare.
Tra martedì e giovedì invece si dovrebbe finalmente chiudere, tra Senato e Camera, la doppia partita della corruzione, falso in bilancio compreso, e quella della prescrizione che vanno in aula rispettivamente il 16 e il 17 marzo. Ancora ieri chi ha parlato con il ministro della Giustizia Andrea Orlando conferma che il testo del falso in bilancio è, e resta, quello: tre diverse punibilità, 3-8 anni per le società quotate, 1-5 per le non quotate, 6 mesi-3 anni per le piccole imprese, senza alcuna soglia di non punibilità. Resta la procedibilità d’ufficio e il rinvio alla legge sulla tenuità del fatto che domani sarà definitivamente approvata dal consiglio dei ministri, per cui potrà essere ben citata nella legge sulla corruzione. Restano anche ambiguità nel testo, come gli avverbi “concretamente” e “consapevolmente” che sollevano più di un dubbio e saranno sicuramente oggetto di scontro in aula. Come l’impossibilità di fare intercettazioni per le società non quotate, a meno che non “entri” il lodo Grasso, un’aggravante per quotate e non quotate che le renderebbe possibili. Sulla prescrizione per la corruzione è in vista un compromesso tra Pd e Ncd.


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