Xi Jinping, visita storica prove di disgelo col nemico americano

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NEW YORK . Il gesto che meglio definisce questa visita di Xi Jinping è la sua intervista uscita ieri sul Wall Street Journal .
Non per quello che dice: domande e risposte sono state fatte per iscritto, chi cercasse “scoop” o annunci clamorosi resterebbe deluso e annoiato dalla retorica ufficiale. Più significativo è questo dettaglio: quand’anche i cinesi volessero leggersela, quell’intervista a casa loro non è accessibile. Il Wall Street Journal è vietato, il sito è oscurato da anni. Come quelli del New York Times , Reuters , Bloomberg .
Xi usa uno dei maggiori gionali americani per rivolgersi al paese che ieri lo ha accolto; ma non si sogna di lasciarlo leggere ai suoi connazionali. Se gli americani si aspettavano che i segnali di crisi economica in Cina rendessero il suo leader più malleabile, saranno delusi.
La visita del presidente cinese è cominciata ieri in una città-simbolo: Seattle. La più vicina da raggiungere per chi arriva in volo dall’altra sponda del Pacifico. E anche la più facile da “conquistare”. Seattle è sede della Microsoft e della Boeing, due multinazionali che in Cina hanno fatto ottimi affari e in nome di quelli sono disposte a mettere la sordina su tutto: censura, abusi dei diritti umani, ecc. Bill Gates a suo tempo profetizzò che «Internet avrebbe portato la democrazia in Cina », previsione errata, ma lui continua ad essere sino-filo a oltranza. Altri lo copiano, un po’ più a Sud sulla West Coast: il fondatore di Facebook Marck Zuckerberg si è distinto per un gesto di piaggeria, agitando il libro dell’Opera Omnia di Xi Jinping come i suoi coetanei del Sessantotto agitavano il Libretto Rosso di Mao. Servilismo inutile: Facebook continua ad essere bloccato in Cina. Come Google e Twitter.
È dopo Seattle che la visita di Xi acquisisce il diritto di chiamarsi “storica”. Sulla West Coast lui c’era già stato da presidente: in California incontrò Obama nel loro primo summit bilaterale da capi di Stato (tenuta di Rancho Mirage, giugno 2013). Poi i due si rividero in summit bilaterali come l’Apec del novembre 2014 a Pechino. Ma il suo arrivo domani a Washington segna la prima visita di Stato di Xi da presidente. Verrà ricevuto alla Casa Bianca, per poi proseguire a New York dove parlerà all’assemblea generale Onu: anche qui una prima assoluta. E l’occasione per “incrociare” papa Francesco, leader di una Santa Sede con cui la Repubblica Popolare non ha relazioni diplomatiche.
Xi arriva per la sua prima visita di Stato in America, in una fase in cui la Cina fa notizia soprattutto in negativo. Nel mese di agosto anche Wall Street come tutte le piazze finanziarie del pianeta ha tremato, per paura del contagio cinese. Al di là delle turbolenze di Borsa, il rallentamento della crescita cinese si ripercuote sulle economie reali di tutto il mondo. I paesi emergenti soffrono perché esportano meno materie prime. L’economia Usa non è immune: la Federal Reserve ha citato esplicitamente i problemi cinesi, quando ha deciso di soprassedere sul rialzo dei tassi d’interesse la settimana scorsa.
Insomma l’economia cinese non è più quella locomotiva inarrestabile che per un quarto di secolo aveva macinato tassi di crescita dell’ordine del 10% annuo o quasi. Tuttavia Xi è deciso a non cedere su nulla. I dossier sui quali l’America ha più rimostranze da fargli sono tre. La cyber-guerra. L’espansionismo cinese che spaventa i suoi vicini alleati dell’America (Giappone, Filippine, Malesia, perfino il Vietnam). Infine le angherìe che Pechino infligge a una serie di grandi aziende americane, dalle censure contro Google al blackout di quotidiani come il New
York Times . Sullo sfondo c’è la questione dei diritti umani. Ma Xi nell’intervista al Wall Street Journal ha già preannunciato quale sarà il suo atteggiamento: nessuna concessione, nessun passo indietro. Le pretese territoriali, in base alle quali la Cina rivendica isole dei suoi mari orientali e meridionali, vengono presentate come dei diritti. E se l’America critica Pechino su questo, scatta l’autodifesa nazionalista, cioè l’accusa di voler “umiliare la Cina” per impedirle di assurgere al rango di superpotenza che le spetta. La retorica nazionalista si è ulteriormente rafforzata da quando al potere è arrivato Xi, ben più autoritario e grintoso dei due ultimi predecessori. Tra Stati Uniti e Cina verrà probabilmente firmato, proprio in occasione di questa visita, un patto per prevenire la guerra informatica.
Ma pochi s’illudono sulla sua effettiva portata. Pechino nega di essere all’origine della maggior parte degli attacchi di hacker, quindi questi ultimi potranno continuare a operare. Soprattutto nel furto di segreti industriali. I legami economici con l’America però restano robusti: la Cina non si accontenta più di riciclare i suoi attivi commerciali acquistando buoni del Tesoro Usa; quest’anno ha aumentato del 50% i suoi investimenti diretti in aziende americane, raggiungendo solo nel primo semestre 6,5 miliardi. A causa di uno di questi investimenti Barack Obama ha dovuto cercarsi un nuovo albergo a New York. Il Waldorf Astoria, da sempre la residenza presidenziale in occasione dell’assemblea Onu, è stato acquistato dai cinesi. Impossibile, per ragioni di cyber-sicurezza, che Obama torni a dormire sotto quel tetto.

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