Equità, welfare e Keynes la ricetta della Svezia felice dove solo il 2% è più povero
PARADISO svedese, inferno italiano. Il Rapporto del McKinsey Global Institute sull’impoverimento generazionale, già illustrato sulla Repubblica di sabato, esalta il modello scandinavo come antidoto alla regressione del tenore di vita che affligge le economie più avanzate. E mette il nostro paese all’indice, il peggiore di tutto l’Occidente per la performance economica misurata nell’arco di un decennio. “Ad una estremità c’è l’Italia dove i redditi sono rimasti fermi o sono diminuiti per la quasi totalità della popolazione. Al polo opposto c’è la Svezia dove solo il 20% della popolazione ha avuto i propri redditi bloccati o ridotti”. Così si legge nella recente indagine intitolata “Poorer than their parents? A new perspective on income inequality” (Più poveri dei genitori? Una nuova prospettiva sull’ineguaglianza dei redditi). Questa citazione si riferisce peraltro ai “redditi di mercato”, cioè prima di calcolare l’impatto degli ammortizzatori sociali, delle tasse, di tutte le politiche pubbliche sui bilanci delle famiglie. Quel che interessa ancora di più, è il risultato finale in tasca ai cittadini, sono i “redditi disponibili”: quelli che rimangono dopo l’intervento del fisco e l’eventuale aiuto del Welfare. Ebbene, alla fine il divario tra Svezia e Italia si accentua ancora di più. Il ristagno o impoverimento decennale passa dal 97% fino a quasi il 100% degli italiani. Mentre per gli svedesi si scende dal 20% al 2% della popolazione “bloccata o impoverita”. Eppure tutti i paesi esaminati nell’indagine (Nordamerica ed Europa occidentale) hanno subito lo stesso shock esterno: dopo la crisi finanziaria globale del 2008 il Pil si è ridotto in tutte le economie senza eccezione.
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