Le Coop come bene comune. Articolo di Bonacina

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(da “Vita“)

Viva le coop

Editoriale di Riccardo Bonacina

Viva le coop. Recita così il nostro titolo di copertina. E vorremmo urlarlo dai tetti, visto il servilismo a pochi potenti della stampa italiana e del personale politico di questo Paese. Certo, per chi sta a libro paga da una vita è difficile comprendere e digerire l`idea che nel nostro paese l`imprenditorialità originata da una posizione ideale (non importa sia essa di destra o di sinistra) generi il 7% del Pil, dia lavoro a un milione di persone e associ quasi 14 milioni di cittadini attorno a 75mila imprese cooperative. Una ricchezza per tutti, dunque, un vero “bene comune”, una peculiarità italiana diventata modello in tutta Europa, un esempio compiuto e diffuso di democrazia economica di cui andare fieri. L`idea di impresa cooperativa, il suo modello, la sua capacità di innovazione nei prodotti e nella capacità di coinvolgere utenti e dipendenti, di creare sviluppo senza traumi e nell`interesse di tanti invece che di pochi o pochissimi, di coniugare le logiche del mercato con quelle della comunità, andrebbe studiata, preservata, incoraggiata. E invece no, da anni ormai, l`idea stessa di cooperazione è sotto attacco, svilita nei suoi aspetti civilistici, espunta nei pochi vantaggi fiscali che le erano riconosciuti (ma vogliamo parlare per favore dei vantaggi fiscali ai raider di Borsa che vivono di plusvalenze, dei vantaggi fiscali alle assicurazioni, ai produttori e venditori di decoder digitali, e giù giù sino ai veterinari?). Ci mancava poi Giovanni Consorte, un manager di Montedison a cui, contravvenendo allo spirito e alla lettera della tradizione cooperativa, i maggiorenti di Legacoop avevano affidato una delega in bianco affinché Unipol, che è una società per azioni, sbarcasse nel mercato-mercato, nella Piazza degli Affari con la “a” maiuscola”, e a tanti non è sembrato vero che si potesse finalmente scatenare una soluzione finale contro l`idea stessa di cooperazione.

«Quello delle cooperative è un sistema non sano, che non fa parte del libero mercato», ha tuonato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Ma qual è il libero mercato invocato da Berlusconi? Quello di Bipop Carire che ha distrutto risparmi per 10 miliardi di euro truffando 70mila piccoli risparmiatori? Quello di cui si sta interessando la Procura di Roma che ha rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta, truffa e appropriazione indebita Sergio Cragnotti, Cesare Geronzi (Capitalia), Stefano Rainer Masera (San Paolo Imi), Giampiero Fiorani (Bpi) e altre 40 persone? Quello di Parmalat che ha bruciato i risparmi di 100mila famiglie? Quello delle mancate scalate ad Antoveneta, Rcs e Bnl dei concertisti Gnutti e Ricucci? Quello dell`equity swap, su cui è atteso un pronunciamento Consob, con cui Ifil, la finanziaria della famiglia Agnelli, si è venduta e poi ricomprata le azioni Fiat senza comunicarlo al mercato e realizzando una plusvalenza di 100 milioni di euro? Quello dei condoni con cui sanare le elusioni fiscali e quello degli aiuti di Stato a imprese decotte? Il libero mercato è questo capitalismo senza più capitali propri e senza più imprese?

Chi pensa di liquidare l`esperienza della cooperazione si assume una grande responsabilità di fronte al Paese. Una responsabilità che andrà in conto anche ai Ds che delle imprese cooperative hanno sino ad oggi usato (e speriamo senza addebiti penali) senza capirne le ragioni e senza promuoverne il modello, senza farne una bandiera.

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