Aborto legale? Mai I vescovi dettano legge

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Il caso di una ragazzina di 14 anni violentata dal patrigno riaccende il dibattito sulla interruzione della gravidanza. Causa del 40% delle morti delle donne. Delle donne povere perché le altre…

(il manifesto, 6 marzo 2007)


Serena Corsi
Riesplode il contenzioso sull’aborto in Argentina, dopo l’ennesimo caso esemplare dato in pasto ai media. Da alcuni anni la diatriba girava intorno alla vicenda-limite di Romina Tejerina, una ragazza della provincia rurale di Jujuy, che aveva abortito dopo uno stupro: denunciata per omicidio dal padre del bambino, venne condannata e incarcerata mentre lui – incredibile ma vero- restò in libertà. Ora è esploso il caso di una ragazzina di 14 anni di Mar del Plata, violentata dal patrigno e intenzionata a interrompere la gravidanza, che è stata strattonata da una sentenza all’altra prima di, qualche giorno fa, avere un aborto spontaneo che ha risolto forse il suo caso ma non il problema.
In Argentina l’aborto cessa di essere un reato solo nel momento in cui è provato che sia in pericolo la salute della madre o che il concepimento sia avvenuto a seguito di uno stupro ai danni di una disabile: la quattordicenne rientrava solo nella prima delle due deroghe. A questo proposito, fra chi si è opposto alla sentenza della giudice del tribunale dei minori di Mar del Plata, Silvina Darmandrail , che aveva dato il nullaosta all’aborto, c’era lo stesso procuratore generale del distretto, Fernandez Garello, che ha denunciato irregolarità nella perizia psicologica e pretendeva che venisse ripetuta. Garello, a sostegno della sua posizione, citava i «diritti costituzionali del nascituro», senza tenere in conto quelli, anch’essi inclusi nella costituzione, di bambini e adolescenti. E neppure la salute della madre e il diritto all’integrità dei minori, sanciti da molte convenzioni internazionali.
Il dibattito è ancora in buona parte schiacciato sul caso particolare e sull’aggravante dello stupro e della giovanissima età della gestante. La stessa sentenza in favore della ragazzina di Mar del Plata ammetteva il diritto alla vita fin dal suo concepimento e riaffermava il divieto all’aborto che non sia stato espressamente autorizzato dalla legge. Con buona pace dei gruppi di donne, moltiplicatisi negli ultimi anni , che lottano contro il sessismo in quanto artefice e legittimatore della violenza alle donne, e per la legalizzazione dell’aborto come diritto della donna sul proprio corpo, la propria vita e la propria sessualità . A questo proposito, il primo passo sarebbe l’educazione sessuale nelle scuole ed una capillare campagna di informazione sui contraccettivi: «Contraccettivi per non abortire, aborto legale per non morire» è il loro slogan più diffuso.
Niente da fare, gli ultraconservatori fanno la voce grossa e minacciano. Il quadro è quello di una battaglia lontana da essere vinta nonostante la sua drammaticità incombente: il 40% delle gravidanze si conclude con un aborto clandestin e la seconda causa di morte per le donne in età fertile è l’aborto. Un problema che anche in Argentina diventa di classe. A morire non sono le donne che hanno i mezzi economici per aggirare la legge in tutta sicurezza ma le donne dei ceti bassi che devono tentare la via degli aborti clandestini. Con le conseguenze ben note: possibili denunce e arresti, quando non la morte.
Ma a dettare legge sono ancora e sempre i vescovi. Tre anni fa costrinsero il presidente Kirchener, che aveva accennato ad aprire un dibattito poco dopo la sua prima elezione, a derubricare il tema dell’aborto; ora, in piena campagna elettorale in vista delle elezioni di autunno, nessun candidato osa affrontare un capitolo così scottante. E di portata continentale: in America latina, l’aborto è legale solo a Cuba.

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