Gheddafi scrive a Obama “Ferma le bombe dell’Alleanza”

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WASHINGTON – Caro Obama ti scrivo. Il Colonnello ha scritto a Barack «dopo che gli Stati Uniti si sono ritirati dall’aggressiva e colonialista coalizione che combatte la sua crociata contro la Libia». La Casa Bianca conferma: nella lettera il dittatore chiede al presidente degli Stati Uniti di fermare i bombardamenti Nato. Si tratta? «Gheddafi sa benissimo cosa deve fare per fermare la coalizione» taglia corto Hillary Clinton: «Ritirare le sue truppe e andarsene». Certo qualcosa si muove. A Tripoli sbarca un ex deputato repubblicano Usa. L’iniziativa di Curt Weldon è personale ma il signore fa sapere dalle colonne del New York Times che la Casa Bianca è al corrente. Proprio mentre i ribelli accusano: la Nato ci sta aiutando di meno. Provocando la reazione del portavoce Carmen Romero. «Mercoledì sono state programmati 200 raid: più dei 186 di martedì e dei 137 di lunedì». Ma la verità  l’ammette lo stesso comandante delle operazioni. «I tank vengono dispersi e nascosti» dice il generale Mark Van Uhm “e Gheddafi impiega scudi umani per impedirci di colpire gli obiettivi”. Perfino il Washington Post accusa la Casa Bianca: la rinuncia al ruolo di leader nella coalizione rischia di inficiare l’obiettivo di Obama. Ma gli Usa insistono: «Abbiamo fiducia nella Nato e negli alleati». A cominciare dall’Italia. L’occasione è rappresentata dal bilaterale con il ministro Franco Frattini volato a Washington per squadernare in un’ora di colloquio con Hillary («Siamo amici, ci siamo scambiati anche i numeri di cellulare») il contributo di Roma. Malgrado lo schiaffo del mancato invito dell’Italia alla videoconferenza sulla missione? «Non mi sento affatto escluso: l’Italia resta un partner chiave e il nostro impegno crescerà ». La Clinton annuisce: «Apprezziamo molto il vostro ruolo». Ricordando che in questi giorni l’Italia «sta assistendo il nostro inviato nel campo dei ribelli». L’impegno tra Usa e Italia si realizzerà  anche «in un gruppo di lavoro bilaterale» anticipa il ministro «che s’impegnerà  nell’institution building: aiutando i libici a realizzare le prime strutture di democrazia». Insomma si pensa già  al dopo. Ma il Connello è ancora lì. E l’ipotesi esilio? È stata discussa con gli Usa? «Ne abbiamo parlato – risponde Frattini – anche se per la riuscita non ritengo utile entrare nei dettagli: in quale paese e quando. Ma su questo stiamo lavorando con la mediazione dell’Unione Africana». Intanto i ribelli chiedono armi. «Io sono convinto che la risoluzione dell’Onu permetta di ragionarci su» sostiene il ministro. Hillary Clinton non si spinge a tanto: «Anche se dobbiamo lavorare per trasformare coraggiosissimi cittadini in un esercito vero: qui invece abbiamo medici, avvocati, economisti, professori universitari che si battono contro un tiranno che ha giurato di non aver nessuna pietà ». E allora perché gli Usa non cominciano col riconoscere il governo provvisorio come l’Italia ha già  fatto? «Capisco il bisogno degli Usa di prendere informazioni” dice “Franco” in soccorso dell'”amica Hillary”: «Per noi era diverso». Per noi è sempre stato diverso.


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