Roma riconosce i ribelli: potremmo armarli
ROMA— A due giorni da un viaggio a Washington, che lo porterà domani dal segretario di Stato americano Hillary Clinton per un incontro rinviato una settimana fa, Franco Frattini ha compiuto ieri una svolta articolata in tre segmenti. Primo tratto: il ministro degli Esteri ha annunciato di aver «deciso di riconoscere il Consiglio nazionale di transizione come l’unico interlocutore politico legittimo per rappresentare la Libia» . Dal 10 marzo, quando la Francia fu la prima a dare un riconoscimento diplomatico al comitato di quanti erano insorti contro Muammar el Gheddafi, la tesi della Farnesina era che per passi del genere occorreva un accordo tra i 27 Stati dell’Unione Europea. Secondo tratto: Frattini ha affermato che ai ribelli «la consegna di armi non può essere esclusa» . Sgradita alla Turchia, non avallata dalla Nato, caldeggiata da Hillary Clinton e Gran Bretagna, l’ipotesi veniva trattata fino a ieri con diffidenza dalla diplomazia italiana. Terzo: il ministro ha riformulato il suo obiettivo di fermare i combattimenti dichiarando che bisogna «raggiungere il cessate il fuoco imponendolo a Gheddafi» . Il 17 marzo sosteneva che bisognava «garantire il cessate il fuoco da entrambe le parti e pensare a un processo di riconciliazione nazionale» . Occasione per la svolta è stata una visita dell’inviato per l’estero del Consiglio transitorio di Bengasi Abd al Aziz Isawi, invitato a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio e ricevuto anche dall’opposizione italiana. Alla Farnesina, dopo oltre un’ora con Frattini, Isawi ha incassato risultati nei quali ha contato il timore che Francia e Regno Unito impieghino i crediti politici maturati bombardando le forze del Colonnello per sottrarre peso all’Italia nel mercato petrolifero di una Libia post-Gheddafi. Al Isawi, 45 anni, non è certo uno schizzinoso verso le svolte: ha diretto il ministero dell’Economia libico; da ambasciatore in India, in febbraio è stato tra i più veloci nello staccarsi dal regime. Il viceministro degli Esteri libico Abdelati Obeidi, invece, ieri era ad Ankara per appoggiare la mediazione turca per una tregua. Frattini ha preso le distanze da Atene che lo aveva ricevuto e detto che ogni soluzione ha «una precondizione: che Gheddafi e famiglia lascino la Libia» . Il ministro ha definito la fornitura di armi un’ «extrema ratio» , ma specificando che potrebbero occorrerne anticarro. Frattini ha dato come risaputo che l’amministratore delegato dell’Eni fosse stato a Bengasi sabato, poi fatto precisare che Paolo Scaroni aveva parlato per telefono con il Consiglio. Cambia poco. Il ministro ha ipotizzato l’invio di una nave ospedale in Libia, perfino sostenuto una missione di Gino Strada. Gheddafi, intanto, si rivolgeva all’Onu facendo proclamare ai suoi Comitati popolari che se «le forze del Male» bombardano «il progetto del Grande Fiume artificiale» tanti libici tra Bengasi e Sirte subiranno sete e inondazioni. Nella notte un segnale più conciliante: «Pronti a ogni cambiamento, anche ad elezioni, ma a condizione che sia Gheddafi a condurre il processo» , ha detto il portavoce di Tripoli.
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