La fionda democratica

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A Napoli i nomi oggi in corsa per il centrosinistra provengono da un pasticcio direttamente imputabile al Pd, pasticcio che Bersani ha pensato di rappezzare annullando d’imperio le primarie. Con tanti saluti ai cittadini che pure vi avevano creduto. Sembrano i capitoli di un manuale su come si costruisce la propria sconfitta.
Negli ultimi giorni poi Bersani ha preso di punta la vergognosa condizione dell’informazione pubblica. Anche qui, non si tratta di un problema delle ultime ore, e non si capisce perché il Pd non abbia posto con forza la questione all’inizio della legislatura, e non a pochi giorni dal voto, attestandosi su una guerra di posizione in Vigilanza. Che ha prodotto i risultati che stanno sotto gli occhi di tutti, basta accendere la tv.
E non c’era da essere dei maghi neanche per vedere nel futuro di deputati oggi al governo, arruolati nella «nuova stagione» veltroniana. La stagione dei «ma anche», passato quel segretario, è rimasta nel dna del partito. E così Bersani continua a dire che vuole fare il candidato premier ma anche no, l’alleanza con Di Pietro ma anche no, quella con l’Udc e Sel e poi con i comunisti della Federazione. Ma anche no.
«È chiaro che è Davide contro Golia, ma stavolta può partire la fiondata», ha detto ieri Bersani. Farà  anche simpatia, questo segretario Pd universalmente considerato «una brava persona». Come nel Pci si diceva «bravo compagno» di uno onesto ma inadeguato. Eppure l’immagine che ha usato per descrivere il suo partito, la sua parte politica, e in fondo anche se stesso, la dice lunga. Rappresentarsi come un antieroe (certo, che poi vince) può essere beneaugurante. Ma se il più grande partito del centrosinistra, che ambisce a «organizzare il campo democratico» si percepisce come un ragazzino armato di fionda di fronte al gigante ormai senza freni, bisogna chiedersi perché si è disarmato. Proprio a Milano e Napoli, dove aveva bisogno delle sue migliori cartucce.


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