Costruire una specie perfetta ecco il nuovo dilemma dell’umanità 

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Parole nelle quali si può cogliere l’eco delle Magnalia naturae, descritte nel 1627 da Francis Bacon in appendice alla Nuova Atlantide: «prolungare la vita; ritardare la vecchiaia; guarire le malattie considerate incurabili; lenire il dolore; trasformare il temperamento, la statura, le caratteristiche fisiche; rafforzare ed esaltare le capacità  intellettuali; trasformare un corpo in un altro; fabbricare nuove specie; effettuare trapianti da una specie all’altra; creare nuovi alimenti ricorrendo a sostanze oggi non usate».

Lontane nel tempo, queste due posizioni riflettono modi assai diversi di guardare al “trascendersi” della persona, con un passaggio dallo sguardo ottimistico lanciato sul futuro da Bacon ad una riflessione sulla quale incombe la bomba atomica, che segna drammaticamente l’uscita dalla guerra, ma ipoteca in modo altrettanto drammatico il futuro. Oggi, realisticamente, il destino del genere umano appare affidato a scienza e tecnica, che lo immergono nella storia, lo liberano progressivamente da caso e necessità , fino a prendere congedo della natura.
Di fronte alla radicalità  di questo passaggio, alla discontinuità  che descrive, l’etica torna prepotentemente in campo, la politica si divide, il diritto si interroga sul proprio ruolo. Parole nuove ci accompagnano – biopolitica, bioetica, biodiritto. E, con esse, l’umanità  sembra voler “uscire da se stessa”, nel senso almeno che si svincola dalla pura logica darwiniana, affidandosi ad una evoluzione tutta legata ad una tecnica direttamente governata dalle persone. Intorno al corpo di ciascuno si addensano le possibilità  incessantemente offerte da biologia e genetica, dall’innovazione informatica, dalle neuroscienze, dalle nanotecnologie. Il corpo sta per trasformarsi appunto in una “nano-bio-info-neuro machine”, versione ultima di quell’ “homme machine” di cui nel Settecento parlavano La Mettrie e D’Holbach? Il corpo, dunque il luogo per definizione dell’umano, ci appare come l’oggetto dove si manifesta e si compie una transizione che, da un canto, sembra voler spossessare la persona del suo territorio, appunto la corporeità , facendolo “reclinare” nel virtuale ; e, dall’altro, ne modifica i caratteri in forme che non da oggi fanno parlare di post-umano e di trans-umano (termine, questo, la cui introduzione è attribuita ad uno scritto del 1927 di Julian Huxley).
Il corpo ci appare così come un planetario campo di battaglia, dove si affrontano bioconservatori e transumanisti. Tenacemente impegnati, i primi, a restaurare i diritti della natura. Custodi, gli altri, di una nuova libertà , quella appunto di usare senza limiti il nuovo potere di cui siamo investiti. Ma questa polarizzazione non dà  nessuna vera indicazione sul modo di governare la fase interamente nuova nella quale l’umanità  è già  entrata. E’ illusorio pensare che il diritto, con le sue regole artificiali, possa ricostituire le situazioni naturali profondamente modificate dalla scienza. E l’illimitata apertura all’utilizzazione di ogni nuova opportunità  sembra piuttosto confermare la tesi di chi vede nella tecnica l’unico potere del nostro tempo, al quale sarebbe vano cercar di porre argini.
Ma la realtà  non può essere chiusa in contrapposizioni astratte, esige distinzioni per cogliere le vere domande. Nel 2008 Oscar Pistorius, un corridore sudafricano, privo della parte inferiore delle gambe, sostituita con impianti in fibra di carbonio, si è visto riconoscere il diritto di partecipare alle Olimpiadi. Così non cade soltanto la barriera tra “normodotati” e portatori di protesi. Si prospetta una nuova nozione di normalità , che non è più soltanto quella naturalmente determinata, ma pure quella artificialmente costruita. Prendendo spunto da questa vicenda, un’altra atleta paraolimpica, Aimée Mullins, ha affermato che «modificare il proprio corpo con la tecnologia non è un vantaggio, ma un diritto. Sia per chi fa sport a livello professionistico che per l’uomo comune».
Affermando, però, il diritto d’ogni persona alla modificazione tecnologica del corpo, si pone immediatamente la questione dell’eguaglianza. Poiché siamo in presenza di straordinarie possibilità  di migliorare le prestazioni fisiche e intellettuali, una volta riconosciuta la legittimità  di una specifica costruzione artificiale tutti devono potervi accedere in condizioni di parità , pena la nascita di una società  castale, nella quale solo chi dispone di risorse adeguate può avvantaggiarsi della tecnologia. Ma dobbiamo spingerci oltre lo stesso ineludibile principio d’eguaglianza. Un differenziarsi della specie tra umani e post- o trans-umani fa immediatamente nascere il problema di due diverse legittimazioni, di un doppio standard, di due diverse qualità  dell’umano. Qui il conflitto tra persone geneticamente programmate e persone con un patrimonio genetico naturale, di cui ci ha parlato il film Gattaca di Andrew Niccol, si trasformerebbe in una concreta e generalizzata “guerra tra umani e transumani”. Mentre, infatti, le differenze tra le persone determinate dalla natura portavano ad una loro accettazione sociale, ed alla nascita di quella solidarietà  tra avvantaggiati e svantaggiati di cui ci ha parlato Etienne de la Boetie nel suo Discours de la servitude volontarie, la diversificazione tecnologica si rovescia nella percezione individuale e sociale di una esclusione, dunque nella radice di un conflitto, che può essere evitato solo riconoscendo a tutti una pari dignità . La dignità  del corpo e nel corpo è l’altro, grande e ineludibile tema, che ritroviamo nelle parole che aprono la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: «La dignità  umana è inviolabile». La persona, dunque, inseparabile dalla sua dignità .
Ma di quale persona, di quale corpo stiamo parlando? Quando si afferma che il diritto di ricorrere alle tecnologie riguarda le decisioni relative a sé e alla propria discendenza, si equiparano situazioni tra loro profondamente diverse. L’autodeterminazione, legata o no all’uso della tecnica, deve ricevere il massimo riconoscimento quando gli effetti delle decisioni della persona si producono nella sfera dell’interessato. Non è così, invece, quando si vogliono costruire corpo e vita dell’altro, violando la sua “libertà  esistenziale”, presidiata dal suo consenso, che dunque non può essere sostituito dalla volontà  di altri, soggetti privati o poteri pubblici.
Le immagini del corpo si moltiplicano. Lo mostrano modificato tecnicamente per “ripararne” i difetti o “migliorarne” le prestazioni, lo descrivono attraverso le costruzioni dei rapporti tra cervello e computer. Le frontiere si spostano verso forme di integrazione tra persona e macchina e nascono, nuovi e più radicali interrogativi. Un sistema bionico ibrido è una persona che può essere considerata titolare di diritti e doveri? Le componenti umane di un sistema bionico ibrido sono la stessa persona prima e dopo essere divenute l’interfaccia di componenti artificiali? Domande nuove, ma che rimandano a temi antichi, alla nave di Teseo per la quale ci si chiedeva se persistesse la sua identità  originaria anche dopo che, via via, tutti i suoi pezzi erano stati cambiati.


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