Da fruttero e lucentini a fazio così è cambiata l’arte di far leggere

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L’ultimo arrivato è il Cult Book di Stas’ Gawronski (per Rai Educational). La recente puntata d’esordio era dedicata al rapporto tra libri e prigionia, a partire da Resurrezione di Lev Tolstoj. Intanto è finita la stagione, e speriamo solo la stagione, di Che tempo che fa di Fabio Fazio che, negli ultimi anni, è stato uno dei modi grazie a cui la televisione ha determinato la classifica dei bestseller. L’altro modo è il libro nato direttamente in tv: si pensi a Benedetta Parodi, conduttrice di rubriche tv di cucina e recente oggetto di un’asta editoriale sulle cui fastose proporzioni si favoleggia con incredulità . La tv non farà  più vincere le elezioni o annullare i referendum: ma è difficile che un libro entri in classifica senza promozione tv. Anzi, le classifiche dovrebbero prevedere la categoria dei libri che sono stati promossi in tv e quella dei libri di cui la tv non parla.
Da Cotto e mangiato di Benedetta Parodi a Resurrezione di Lev Tolstoj: questo è lo spettro entro cui si trovano i libri di cui si occupa la tv. Non si è mai realizzata, infatti, l’utopia di Achille Campanile che, nel marzo del 1962, immaginava una presentazione televisiva di questo tipo: «Cominciamo col libro della settimana. Questa volta è un libro di viaggi. Va a ruba, ha un successo strepitoso. S’intitola Orario generale delle ferrovie dello Stato. È un’operetta preziosa: si raccomanda per la sua veste e il suo contenuto, e non soltanto ai bibliofili, ai cultori del libro come oggetto d’arte». Questo brano è stato usato da Aldo Grasso in apertura di uno studio uscito nel 1993 e intitolato: Il libro e la televisione. Storia di un rapporto difficile. La parodia di Campanile mostra quello che sa anche lo spettatore-lettore che sta in poltrona con la tv davanti e un libro in grembo, lo sguardo che oscilla su e giù fra schermo e pagina: la tv è un apparecchio che distorce i libri.
Per la tv che parla di libri è fondamentale distinguere fra i programmi-vetrina e i programmi-Glu. Programmi-vetrina sono Che tempo che fa e Le invasioni barbariche, il Bookstore di Alain Elkann e la rubrica Billy del TgUno (entrambi mitici, a modo loro). Erano vetrine anche i vecchi A tutto volume di Alessandra Casella e Daria Bignardi, Babele di Corrado Augias e il Maurizio Costanzo show. Partendo da un libro appena uscito, si imposta una conversazione in forma di intervista a due (conduttore-autore) oppure di tavola rotonda (conduttore e autori o ospiti diversi), secondo il modello francese mai eguagliato delle trasmissioni di Bernard Pivot. In passato esperimenti come il Match (1977) di Alberto Arbasino prevedevano una sorta di scontro tra due personaggi: nella puntata dedicata alla letteratura si affrontarono Alberto Moravia e Edoardo Sanguineti.
Più ambizioso della media dei programmi-vetrina è invece il modello Glu. Glu è un acronimo che sta per Grandi Libri (dell’) Umanità , scherzosa etichetta trovata da Carlo Fruttero e Franco Lucentini all’epoca (1994) in cui stavano preparando la loro trasmissione L’arte di non leggere. I programmi-Glu sono quelli che esulano dall’attualità  per parlare dei classici; più che di libri lì si trattano testi. Il più famoso e forse anche il più riuscito programma-Glu della televisione italiana è stato Pickwick di Alessandro Baricco, con Giovanna Zucconi: che parlasse di Joseph Conrad o di Raymond Carver l’abilità  evocativa del linguaggio di Baricco (che allora era quasi sconosciuto al pubblico tv) contagiava gli spettatori e metteva voglia di leggere o anche rileggere gli autori di cui si parlava. Tra i tanti ci fu il caso del Giovane Holden che nel 1994 tornò in classifica e quello di Una donna virtuosa di Kaye Gibbons. Anche Cult Book di Gawronski è un tentativo in questa direzione, ma mentre Pickwick aveva un impianto teatrale (un pianista, pochi elementi di scena), Cult Book si ispira esplicitamente all’estetica del videoclip e impiega tutte le risorse del montaggio, della videografica, della musica e del cinema per “mostrare” il libro (per esempio, usando schegge dello sceneggiato tv tratto dal romanzo di Tolstoj di cui si parla). Era un programma-Glu anche quello dei coniatori dell’etichetta, L’arte di non leggere in cui, e già  a partire dal titolo (citazione da Schopenhauer), Fruttero e Lucentini profondevano i tesori del loro humour. I libri erano parte della loro conversazione, continuamente distratta e digressiva, in cui potevano uscirsene con battute perentorie come: «per non leggere la Vita dell’Alfieri bisogna essere deficienti».
Fuori dall’alternativa fra vetrina e Glu ci sono esperimenti anche interessanti. L’ormai classico Per un pugno di libri, che ha un andamento un po’ old fashioned e rinnova fasti di antichi quiz per ragazzi: il libro, qui, è il testo da conoscere, l’oggetto di uno studio e di un sapere che farà  superare la prova. Al libro come oggetto d’affezione, di lettura ma anche di attenzione feticistica è invece rivolto il divertente format di La banda del book (RaiCinque): tre conduttrici che si recano a casa di un personaggio (da Massimo Cacciari a Candida Morvillo, la direttrice di Novella 2000) per indagare la sua biblioteca domestica e le sue abitudini di lettore e lettrice.
Fabio Fazio ha dimostrato che si possono fare ascolti enormi con una collocazione in palinsesto che in origine non era certo favorevole (l’ha resa appetibile proprio il successo di Che tempo che fa), parlando anche di libri e pure ospitando autori di nessuna notorietà  televisiva. Come è successo con Hessel, il vecchio partigiano francese, mandato con il suo Indignatevi al primo posto in classifica. Fazio ottiene sarcasmi da parte di chi non viene invitato (il che è umanamente comprensibile), impicci dal suo editore (il che è comprensibile solo politicamente), ma si presta anche a critiche per la mancata vocazione di Fazio alla contrapposizione. La polemica è infatti l’unica forma di “approfondimento” che i televisivi concepiscono. A essere carente è casomai l’approfondimento culturale, che sarebbe errato affidare a una trasmissione da grandi ascolti. Né è Fazio che possa rinnovare i fasti dei programmi Glu o rimescolare le carte.
A differenza di quel che succede nell’editoria dei libri, in quella televisiva il problema non è trovare autori, conduttori, idee. A mancare sono i produttori, e un’adeguata politica editoriale che inventi il Report dei libri. Comunque, a tv spenta si legge meglio.


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