Una «casa per gli amici»

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VIENNA – Le espulsioni impietose di «clandestini» sono una non notizia, tristemente quotidiane nella fortezza Europa. Ma il caso austriaco è singolare, più insensato e feroce: un governo a guida socialdemocratica di grande coalizione che si accanisce contro persone perfettamente integrate, rifugiati non riconosciuti o immigrati «illegali», spezzando così percorsi di vita costruiti ormai da migliaia di persone in Austria. Con l’uso di metodi brutali e discriminatori da parte della polizia che quasi sempre finisce assolta, come denuncia Amnesty International nel suo rapporto 2011. L’effetto di tale politica è notizia di questi giorni: uno scioccante balzo al primo posto dell’estrema destra populista di Heinz Christian Strache, che in questa dimensione costituisce un inedito europeo.
Ma c’è anche un’altra notizia. A Winzendorf, paese nel Burgenland, a est di Vienna. Lì Bernard Karrica a 9 anni era il migliore giocatore di calcio della sua scuola, benvoluto da tutti. All’improvviso non è più tornato a scuola, sparito. La polizia la mattina presto lo ha prelevato da casa insieme alla famiglia e rispedito nel Kossovo. Asilo rifiutato in seconda istanza, è la motivazione, dopo 5 anni di vita in Austria. Il diritto di permanenza esiste ma è solo discrezionale e così complicato da renderne difficile l’applicazione, ci spiega Kuron Alev parlamentare dei Verdi che si battono per un diritto esigibile con criteri chiari.
Per Bernard si è mobilitato tutto il paese, dal sindaco in giù. Inchieste, petizioni, assemblee, proteste dei calciatori delle squadre nazionali. Nulla da fare, l’espulsione della famiglia di Bernard, con un fratello minore malato grave è stata irreversibile. «A questo punto abbiamo pensato di fare qualcosa di più, creare un’iniziativa per fare vedere pubblicamente e documentare concretamente cosa sono le espulsioni, cercando di impedirle con la presenza fisica pacifica», ci dice Hans Joerg Ulreich, padre di un compagno di classe di Bernard. Forte era stato l’impatto della vicenda anche su suo figlio, «mi ha chiesto se potevano venire a prendere anche lui». Ulreich, un imprenditore edile di successo, ha messo a disposizione del nuovo progetto (gratuitamente) un complesso edilizio dove ospitare i rifugiati non riconosciuti a rischio di espulsione. Così è nato il «Freunde schuetzen Haus», la «casa per proteggere gli amici», con il costruttore immobiliare schierato in prima linea in difesa dei diritti dei «clandestini».
Inusuale, gli diciamo, incontrandolo sul posto a Vienna Meidling, quartiere popolare. «Sono una mosca bianca – sorride – tra i ciechi si emerge anche con un occhio solo». Il motivo della nuova militanza? «Ho creduto che l’Austria fosse uno stato di diritto, fondato su un ordine giusto che valeva anche per le espulsioni degli immigrati, finchè non ho visto con i miei occhi cosa può accadere, una famiglia benvoluta ed integrata espulsa nel giro di tre giorni». Il caso più clamoroso al «Freunde schuetzen Haus», che ospita una ventina di famiglie, è stato quello delle gemelle Dorentina e Daniela Komani, di 8 anni: all’alba è arrivata la polizia circondando il palazzo, poi agenti speciali della Wegas (unità  antiterrorista) col mitra spianato le hanno portate via, terrorizzate, insieme al padre, senza nemmeno il tempo di fare valigie. Due giorni dopo erano già  a Pristina nel Kossovo, con la madre rimasta sola a Vienna ricoverata in un reparto psichiatrico. Una scena filmata in ogni dettaglio che è stata ripresa dalle tv con un effetto bomba sull’opinione pubblica. E tale è stata l’indignazione che due settimane dopo la famiglia Komani è stata riportata indietro in Austria, e ha ottenuto l’agognato permesso di soggiorno. Il presidente della polizia è stato dimissionato e sostituito. Nulla però di sostanziale è cambiato.
«Il problema è che solo i casi che sono sotto i riflettori massimi dell’opinione pubblica e dei media si risolvono positivamente, per gli altri casi continua la prassi di sempre» spiega Karin Klaric, che gestisce il progetto del centro. Pher Khizar di 21 anni, ceceno, un fratello di 13 e la madre ricoverata e malata di cuore, racconta l’avventura di un’espulsione impedita: l’arrivo della polizia all’alba nella «casa per proteggere gli amici» accolta da un cortile pieno di giornalisti, telecamere e cordoni di cittadini che si stringevano intorno alla famiglia cecena. «Espulsione sospesa», ha dovuto prendere atto la polizia. Ma non è finita. Un altro tentativo di espulsione della famiglia cecena è imminente, per altre persone le espulsioni sono una prassi. Non c’è tregua. In Austria non c’è mai stata una sanatoria per chi vive da molti anni nel paese. Al posto dell’atteso diritto di permanenza richiesto anche dalla corte costituzionale, il governo di grande coalizione recentemente ha ulteriormente inasprito la legge in materia di asilo e immigrazione, introducendo una reclusione di sette giorni nei centri di prima accoglienza per chi arriva, e il prolungamento della permanenza nei centri di espulsione.


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